SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Il mare mi riempie l’anima“. – È con queste brevi e semplici parole che Matteo Terenzi, giovane velista sambenedettese, spiega il suo grande amore per il mare e per la vela. Figlio di Lara Rosetti e Massimiliano Terenzi, Matteo è il primogenito della famiglia: a lui hanno fatto seguito Viola e Lorenzo, rispettivamente di 21 e 19 anni.  Diplomato al Liceo Scientifico “Benedetto Rosetti” e grande appassionato di basket, surf, filosofia e cinema,  a soli 23 anni Matteo ha già vinto, oltre a quattro edizioni del Palio Velico della festa della Madonna della Marina, anche numerosi premi e riconoscimenti per regate nazionali ed internazionali prestigiose, salendo numerose volte sul podio e divenendo anche vicecampione italiano per la sua categoria. 
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare le numerose vicende professionali ed umane che ha già vissuto, nonostante la sua giovane età, e che sono state a volte scoraggianti, altre volte avvincenti, ma sempre molto edificanti.

Matteo, come hai scoperto la tua passione per la vela?
Nell’estate del 2013, quando avevo dodici anni, insieme ad alcuni amici ho fatto un corso di vela presso la Lega Navale di San Benedetto del Tronto. C’è stato un feeling immediato con questo mondo e mi sono appassionato da subito. Terminate le vacanze estive, ho iniziato ad allenarmi con la squadra agonistica e, di lì a poco, sono partito con le prime regate. Già l’anno successivo ho iniziato a ricevere dei riconoscimenti sia nelle regate nazionali, ottenendo anche il titolo di vicecampione italiano, sia in quelle internazionali, centrando un decimo posto all’Europeo in open skiff, ovvero un’imbarcazione propedeutica alle nuove classi acrobatiche presenti alle Olimpiadi. Successivamente ho provato una stagione in 29er, un natante a vela da regata molto diversa da quella precedente e in doppio. Anche in questo caso ci sono stati buoni risultati con una convocazione in Nazionale, posizionandomi tra i primi nella ranking list (n.d.r. graduatoria di merito) italiana. Nonostante il discreto successo, però, non ero completamente soddisfatto, perché non mi sembrava quella la mia strada. Ho quindi deciso di intraprendere il percorso in ILCA (International Laser Class Association), con quindi con un’imbarcazione monoposto, dotata di un’unica vela, che da sempre è stata la mia passione. Il Laser, infatti, al contrario di altre barche a vela, permette solo poche regolazioni (randa, cunningham e vang), ma riesce a planare anche con vento moderato. Inoltre è One-Design: questo significa che le imbarcazioni sono del tutto uguali tra loro e che le regole della Classe Laser olimpica non permettono modifiche all’imbarcazione; pertanto tutte le imbarcazioni risultano assolutamente identiche, per peso, dimensioni, vele e attrezzatura. In questo modo tutti i competitor hanno le stesse opportunità di base. Questo cambiamento di Classe è coinciso con un grande cambiamento nella mai vita che, per me, è stata come una rinascita. Mi sono trasferito, infatti, al Circolo Nautico Sambenedettese, dove ho conosciuto una persona che si è rivelata molto importante nella mia vita: l’allenatore Andrea Patacca, un grande professionista che, oltre ad aver rivoluzionato le mie conoscenze in ambito velico, mi ha insegnato molto anche come persona. È stato un mentore, quasi un secondo genitore. In circa cinque anni in ILCA ho ottenuto titoli regionali, convocazioni in squadra nazionale e sempre ottime posizioni sia a livello nazionale che internazionale, disputando anche i Campionati di Vela Europei e Mondiali.

Nel 2021, però, purtroppo è arrivato un brutto momento. Cosa è successo e come ne sei uscito?
È stato un anno veramente nero, per me. Prima ho avuto un brutto infortunio e poi è avvenuta la morte del mio allenatore Andrea. Questi due fatti hanno completamente cambiato completamente la mia vita, i miei piani e anche la mia persona. Mi sono sentito perso. La vela era sempre stata un punto fermo nella mia vita fino a quel momento e non poterla vivere più come prima, in modo agonistico, e con l’incoraggiamento di una persona che stimavo molto, mi ha lasciato un grande vuoto. Grazie, però, al nuovo direttore sportivo del Circolo Nautico Sambenedettese, Andrea Novelli, sono riuscito un po’ alla volta a colmare questo vuoto, cimentandomi nella bellissima ed avvincente sfida di allenare i piccoli nuovi velisti. L’esperienza da allenatore è stata veramente meravigliosa e mi ha dato molte soddisfazioni: trasmettere ai più giovani le proprie conoscenze e competenze, oltre a quanto imparato sul campo, dà molta gratificazione. Aiutare inoltre i ragazzi a superare le difficoltà nei loro momenti più difficili, farli crescere non solo in ambito sportivo ma anche sotto il profilo umano, mi ha fatto sentire veramente utile. Ed è così che sono rinato!

Ora di cosa ti occupi?
Nel 2022, oltre a proseguire il mio lavoro di allenatore, ho ripreso a gareggiare, ma in una disciplina diversa: si sono infatti presentate delle opportunità con le barche cabinate, quelle riservate ai team. Sebbene molto diversa da quelle precedenti, ho trovato subito molto feeling con questa nuova dimensione e ho percepito immediatamente la sensazione che potesse diventare un lavoro. Ho deciso quindi di provare questa nuova ulteriore sfida e devo dire che è andata molto bene! Di lì a poco ho iniziato ad incrementare il numero degli ingaggi con diversi team. Attualmente ho all’attivo due podi alla Rolex Middle Sea Race, un secondo posto alla 151 Miglia e un secondo posto alla regata Palermo Montecarlo in Line Honor, oltre ovviamente alla continuativa partecipazione ai Campionati Nazionali e Mondiali.

Qual è la regata a cui sei più legato?
Sicuramente la Rolex Middle Sea Race 2023 per svariate ragioni.
Prima di tutto per il risultato raggiunto: abbiamo ottenuto infatti un quarto posto over all e ci siamo classificati primi tra le barche italiane.
Poi anche per come è avvenuta la gara: avevamo un’imbarcazione molto piccola rispetto alle altre e nei primi giorni abbiamo navigato in condizioni avverse, però non abbiamo mai mollato e siamo stati protagonisti di un grande recupero negli ultimi due giorni. In quella circostanza l’equipaggio è stato fantastico e determinante e ho sia imparato tanto che dato tanto a chi ha condiviso con me l’esperienza.
Infine devo dire che quella regata si è rivelata una delle più belle avventure mai vissute anche per il paesaggio naturale di cui abbiamo goduto. A differenza delle Classi Olimpiche, con le barche cabinate si fanno molte regate off shore, quindi ci si trova a navigare ininterrottamente per giorni. Questo fatto mi ha affascina molto, perché posso godermi la bellezza del mare, i suoi silenzi, i suoi rumori e i colori bellissimi. Da questo punto di vista, la Rolex Middle Sea Race è considerata da molti la più bella regata del Mar Mediterraneo: Pantelleria e Malta infatti offrono i paesaggi panoramici più belli e io me li sono goduti tantissimo in quell’occasione.

Cosa ti piace del mare e cosa rappresenta per te?
Il mare mi riempie l’anima. Il semplice atto di guardare l’orizzonte mi dà un grande senso di libertà. E mi regala anche una solitudine bella: sei da solo in un mondo tanto grande che ti abbraccia. E poi c’è quel senso di pace interiore che altrove riesco difficilmente a ritrovare. E poi c’è anche una sensazione che faccio difficoltà a spiegare, ma che è bellissima, perché mi avvolge e mi riempie: stare infatti a contatto con la natura così da vicino, mi eleva mentalmente e spiritualmente.
Oltre che essere fonte di tutte queste belle sensazioni, il mare per me è anche una grande metafora della vita. Essendo sospinti dal vento, spesso in mare alcune cose non le possiamo controllare, ma solo gestire: ci sono giorni di bonaccia, dove la barca è praticamente ferma, alternati a giorni di vento favorevole in cui riusciamo a percorrere lunghe distanze. Un po’ come accade nella vita, in cui a volte andiamo avanti motivati e gratificati, mentre altre volte ci ritroviamo in una situazione di stallo. In entrambi i casi una sola è la soluzione: non restare fermi a piangersi addosso, bensì cercare ogni minuscolo refolo di vento per muoversi in avanti il più possibile. In quelle situazioni ci vogliono due elementi fondamentali: prima di tutto la pazienza, che è un continuo esercizio di attesa e sacrificio; poi la fiducia, che è insieme anche speranza, in quanto consiste nella consapevolezza che il vento forte prima o poi arriverà.

Seppur ormai lanciato in gare molto più prestigiose, sei un habitué del Palio Velico che si svolge in occasione della festa della Madonna della Marina, di cui ti sei aggiudicato il primo posto ben quattro volte. Cosa ti spinge a partecipare a questa competizione locale?
Per San Benedetto del Tronto sento un grande senso di appartenenza. Nonostante io giri l’Europa per motivi di lavoro, la sensazione che provo nel tornare a casa è sempre molto gradevole. In particolare mi piace passeggiare nella zona del porto, sentire gli odori e ammirare i colori che ci sono soprattutto nelle ore del tramonto. Quelle passeggiate da un lato mi regalano un grande senso di libertà, mentre dall’altro mi tengono ancorato alle miei radici, alle mie origini, come se mi facessero sentire di essere tornato in famiglia. Il legame di noi Sambenedettesi con il mare è testimoniato anche dal fatto che la nostra cattedrale sia dedicata alla Madonna della Marina, che viene invocata e pregata come Stella del Mare, come faro per chiunque si avventuri in mare. Quindi partecipare al Palio Velico, che è un evento legato a due forti tradizioni sambenedettesi quali la passione per il mare e la festa della Madonna della Marina, è quasi un dovere, oltre che un onore per chi si sente Sambenedettese come me. Per noi atleti del Circolo Nautico è un momento di festa, in cui onestamente la regata passa in secondo piano, mentre al primo posto ci sono la festa, la sana competizione e la coesione del gruppo, quindi la possibilità di rinsaldare quei legami di amicizia e collaborazione che ci uniscono. Ringrazio Manrico Urbani per la forte e grande volontà che lo contraddistinguono: anno dopo anno, è riuscito a dare continuità all’evento e a farlo crescere. Inoltre, essendo lui un credente fervente, riesce a trasmettere la sua fede senza imposizioni, appassionando anche noi giovani.

Qual è il tuo rapporto con la fede?
Da piccolo il rapporto era buono: oltre infatti a ricevere tutti i Sacramenti, ho frequentato molto la parrocchia e ho partecipato con regolarità alla Messa Domenicale. Man mano che sono diventato più grande, però, mi sono allontanato, perché ho notato un po’ di ipocrisia in alcuni cristiani: nella vita quotidiana alcuni sono molto lontani da quello che Cristo ha insegnato. Pertanto in questo momento la mia fede non mi sembra molto forte e il fatto che in me prevalga il giudizio alla misericordia, mi fa capire che anche io non sia così credente. Fortunatamente ho un amico, velista anche lui come me, ma molto più grande, che invece è un grande credente. Ogni volta che facciamo una gara, lui prega prima e dopo. E la cosa che mi colpisce sempre è che lui ringrazi sempre il Signore, anche quando le cose vanno male. Mi piacerebbe avere la fede che ha lui. Ritengo che la sua sia autentica.

Cosa potrebbe fare la Chiesa per tornare ad essere bella nel senso etimologico del termine, ovvero essere capace di attrarre?
Sicuramente tornare ad essere coerente, nel senso che potrebbe testimoniare meglio, nella vita di tutti i giorni, la sua aderenza a Cristo. Invece, purtroppo, ci sono alcuni valori, come l’accoglienza, l’onestà, la condivisione, la giustizia, che spesso vengono disattesi. Questo aiuterebbe molto, anche se penso che la vera fonte di attrazione resti sempre la figura di Cristo e questa può passare anche attraverso la testimonianza di un amico, come succede a me.

Cosa ritieni un valore?
Per me, il valore più importante nella vita è la coerenza con se stessi, sapere chi siamo e comportarci di conseguenza.
Poi c’è anche la capacità di donarsi, l’essere altruisti, che per me si traduce nella capacità di compiere scelte spinti non solo da interessi personali, ma anche da una generosità verso per la comunità. Credo che in questo momento storico, più che in altri, ci sia bisogno di persone che sappiano elevarsi dalle proprie piccole vite, dai propri piccoli microcosmi, per cercare di aprirsi agli altri, pensando più in grande e donandosi generosamente alla comunità.
Infine per me è molto importante la famiglia: ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha sempre sostenuto nelle mie passioni e mi ha aiutato a superare tutti i momenti difficili, dandomi le risorse necessarie: economiche, etiche, affettive. Al momento non mi immagino in una famiglia tutta mia, non è un progetto per il quale mi sto impegnando e faccio anche un po’ di fatica a vederla nel mio futuro. Tuttavia, se dovesse capitare, sarei molto felice se fosse come quella da cui provengo: un luogo pieno d’amore in cui sentirsi liberi e accolti, un luogo sicuro in cui trovare rifugio e sostegno nei momenti difficili, un luogo di crescita in cui ognuno incoraggia e migliora gli altri componenti.

Cosa vedi nel tuo futuro professionale: continuerai a gareggiare o ad allenare?
Penso che continuerò a fare entrambe le cose.
Questo sport può essere praticato anche in età adulta: all’interno di un team, infatti, non c’è bisogno solo di persone giovani che hanno forza fisica, ma anche di persone che devono pensare, ragionare e gestire l’equipaggio. Attualmente ho entrambi i requisiti, in quanto la mia età mi consente di avere ancora il vigore giovanile, ma al tempo stesso la mia professione di allenatore mi rende in grado anche di motivare. Anche questo è un grande insegnamento per la vita, in cui le persone sono tutte importanti, a prescindere dall’età: i giovani, infatti, contano per l’entusiasmo e la freschezza delle idee, mentre gli adulti e gli anziani contano per l’esperienza che hanno maturato e per la saggezza.
Anche per quanto riguarda la professione di allenatore, non intendo rinunciarci! In questi tre anni ho capito che mi piace molto l’idea di aiutare i ragazzi più giovani a trovare loro stessi. Spesso si pensa che siano buoni allenatori quelli che sanno dare le risposte giuste; io, invece, credo che lo siano quelli che sanno fare in modo che i ragazzi stessi si facciano delle buone domande, cos’ da cercare da soli le risposte. Poi è bello anche il fatto di lavorare per la comunità, non per un singolo velista, ma per lasciare sapienza e competenze alle nuove generazioni, un bene immateriale prezioso, di grande valore, che in un Circolo Nautico come in altri contesti può fare la differenza.

Quale messaggio vuoi dare ai nostri lettori?
A tutti, soprattutto ai giovani come me, vorrei dire di non avere paura di vivere la vita che vogliamo, di inseguire i sogni che abbiamo. È certamente più rassicurante fare una vita ordinaria, senza che azzardare, ma non si può essere infelici per tutta la vita o avere rimpianti. Io non so se mi sia andata bene, perché sono troppo giovane per tirare le somme, ma, siccome sto inseguendo quello che mi piace, credo che, a prescindere che vada bene o meno, sia la scelta giusta. Ecco, dobbiamo imparare a non fare scelte comode, bensì a scegliere quello che ci fa stare bene e per cui vale veramente la pena di vivere.

 

 

 

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *