“La parola pace è quasi scomparsa dal vocabolario geopolitico e dell’opinione pubblica e anche delle religioni. Noi siamo qui per dire che abbiamo una speranza. Crediamo che dal dialogo, dall’incontro di uomini e donne di religioni e provenienze diverse, si possa provare a immaginare un cammino per la pace”. Lo ha detto questa mattina il presidente della Comunità di sant’Egidio, Marco Impagliazzo, presentando insieme all’arcivescovo mons. Laurent Ulrich, in una conferenza stampa al Collège des Bernardins di Parigi l’Incontro internazionale Imaginer la Paix – Imagine Peace che si terrà dal 22 al 24 settembre. “Perché questo titolo?”, ha spiegato Impagliazzo. “Perché l’immaginazione è anche creatività” soprattutto “in un momento in cui si vive un tempo oscuro e buio” e “la pace non è più all’ordine del giorno”. Impagliazzo ha subito chiarito che “questo non è un incontro di mediatori di pace. Non ci saranno in questi giorni di incontro a Parigi mediazioni nascoste, ma il fatto di essere qui insieme, uomini e donne di religioni diverse, è già un segno, un segno di speranza. Non sarà comunque un incontro irenico, ognuno parlerà liberamente”.
Rispondendo ad una domanda sull’anniversario del 7 ottobre, Impagliazzo è tornato a ribadire che all’incontro di Parigi i partecipanti non sono chiamati a soffermarsi su precisi scenari di guerra. “Ripeto – ha spiegato Impagliazzo – non è un incontro in cui si cerca di fare mediazione per la pace. Per noi è importante soprattutto ritrovarci insieme. Avevamo molti dubbi, se quest’anno – vista anche la tensione molto forte della comunità internazionale – era il caso di riunirci o no. Abbiamo deciso di farlo per dare un segno, per dire che questa ricerca della pace non si deve fermare. Non si deve fermare per diversi motivi. Ma il più importante è perché ci sono milioni di persone che soffrono a causa della guerra, Vogliamo essere la voce di questa gente, anche molto povera, che non ha voce nella comunità internazionale. La loro sofferenza non è ascoltata perché il rumore delle armi è troppo forte. E allora noi abbiamo assunto questo grido della pace che viene da molti luoghi del mondo, da milioni e milioni di persone che soffrono e che non sono ascoltate. Quindi essere qui è una specie di protesta contro la guerra. Siamo nel paese della rivoluzione e quindi si può utilizzare questa categoria della protesta. Noi siamo qui per protestare contro la guerra e per dare la voce a quelli che soffrono a causa della guerra”.
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