DIOCESI – Si celebra oggi, 10 Ottobre 2024, la Giornata Mondiale della Salute Mentale, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di investire in questo settore e di combattere le discriminazioni in tutto il mondo.
Numerose le iniziative che le nostre Diocesi hanno dedicato al tema, a partire dalla Giornata del Creato organizzata presso il vivaio “La Fabbrica dei Fiori” della Cooperativa “Primavera“, che si occupa di persone con disabilità mentale.
Per celebrare al meglio la ricorrenza abbiamo incontrato il docente e storico dell’arte Andrea Viozzi, reduce dall’inaugurazione della mostra “Quattro mani“, che che ha curato con passione e dedizione, coinvolgendo ventisei artisti del territorio, tra i quali anche alcune persone con disabilità mentali.
Durante l’inaugurazione della rassegna d’arte “Quattro Mani“, che resterà in esposizione presso la Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto fino al 3 Novembre, lei ha parlato del legame tra scintilla creativa e follia. Il tema non è certamente una novità, eppure spesso si fa molta fatica ad associarle. Come mai?
Viviamo in una società che percepisce soltanto l’utile e, come dice il celebre filosofo tedesco Martin Heidegger, il nostro è un pensiero inteso come calcolo, capace soltanto di far di conto e questo ci porta a non comprendere più che cosa sia il vero, che cosa sia il giusto, che cosa sia il bello, che cosa sia il santo, ma solo cosa è utile. C’è quindi un impoverimento della nostra esistenza, se tutto è riferito al merito, alla scienza e al calcolo. E l’arte non è immune da questo concetto, perché nel mondo moderno l’arte viene considerata tale, solo quando entra all’interno del sistema di mercato, altrimenti non è arte, è semplice espressione biografica.
A lei invece come è venuta l’idea di unire il mondo dell’arte a quello della disabilità mentale?
La mostra nasce dalla volontà di mettere in relazione la bellezza, l’amore e la follia, perché ogni opera d’arte è un evento folle, se ci pensiamo. Gli artisti, ogni volta che creano e danno spazio al loro estro creativo, vivono un momento di follia, che siano poeti, scrittori, musicisti, scultori o pittori. Da sempre la follia è elemento creativo. Non la ragione, che invece è un semplice sistema di regole. Ecco perché nasce la mostra, per mettere in risalto questo aspetto folle, che è comune sia a chi vive un disagio mentale sia a qualsiasi altro artista, per mettere in relazione i pittori del territorio con gli outsider artists. Ringrazio moltissimo tutti coloro che hanno reso possibile questa rassegna: l’Amministrazione Comunale di San Benedetto del Tronto; mons. Gianpiero Palmieri, vescovo delle Diocesi del Piceno; la Scuola di Formazione Teologica, nella figura del suo direttore, con Lorenzo Bruni; l’associazione culturale “PescArt & Co.” di Giancarlo Costanzo, che mi ha subito sostenuto in questo bel viaggio e attraverso la quale è stato possibile coinvolgere gli artisti del territorio; il Centro Diurno “I colori della mente“, nella figura del suo responsabile, il dott. Enrico Paolini, e della sua splendida equipe di lavoro; l’Associazione dei pittori volontari “Il diritto di volare” e la Maestra d’Arte Stefania Lunerti. Un grande plauso va fatto anche all’artista Fabrizio Mariani, che ha creato il logo della mostra, nel quale quattro mani di colore differente si cercano, si rincorrono, si sfiorano, dando vita ad uno scambio, un’emozione, un’interazione, che è il fil rouge della rassegna, in cui le due opere, messe una accanto all’altra, creano un contatto visivo, artistico ed umano. “Quattro mani” è una mostra che mette al centro l’uomo. Un uomo che non si gira dall’altra parte, ma che vuole essere protagonista all’interno della società in cui vive, in quanto essere prezioso. Un uomo che, attraverso la rassegna, vuole far riflettere chiunque vada a visitarla. Del resto l’arte contemporanea, essendo più vicina ai nostri giorni, molto più dell’arte antica dovrebbe indurre l’uomo alla riflessione.
Legato alla mostra “Quattro mani“, Giovedì 17 Ottobre 2024, alle ore 17:30, presso l’Auditorium Tebaldini di San Benedetto del Tronto, si terrà l’incontro culturale “Prezioso come una notte stellata“, di cui lei sarà uno dei protagonisti. Di cosa si parlerà?
L’incontro registrerà la partecipazione come relatori, oltre che mia, anche dell’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vescovo delle due Diocesi del Piceno, e del dott. Enrico Paolini, responsabile dell’U.O.S. di Assistenza Semiresidenziale del Dipartimento di Salute Mentale di Ascoli Piceno. Insieme affronteremo il tema della bellezza nella Parola, nell’arte e nella medicina. Partendo dalla celebre opera “Notte stellata“, realizzata da Vincent Van Gogh nel 1889, quando il pittore si trovava nella clinica psichiatrica di Saint Rémy de Provence, sua Eccellenza analizzerà la bellezza del Creato e in particolare del firmamento e delle stelle del cielo nelle Sacre Scritture, io invece presenterò il dipinto realizzato da Van Gogh e il dott. Paolini si occuperà dell’arte come terapia nell’ambito delle patologie psichiche.
L’arte è uno strumento di comunicazione, ma non sempre questa comunicazione viene recepita. Come mai?
L’arte nasce per comunicare fin dai tempi delle caverne, quando le incisioni rupestri comunicavano le abitudini della vita quotidiana, la caccia, i riti religiosi delle comunità primitive. Quindi l’arte è comunicazione. Il problema è che l’arte contemporanea ha un canone estetico diverso da quello classico, più ermetico, meno immediato nella sua comprensione e definizione, meno intuitivo. Ciò non toglie che anche le opere di Raffaello e Michelangelo, ad esempio, oltre ad avere una lettura iconografica comprensibile alla gran parte delle persone, nascondano una interpretazione iconologica più affascinante e più complessa che richiede anche lì un’analisi più approfondita e più precisa. Ma certamente con l’arte contemporanea i problemi aumentano. Mi piace ricordare un celebre episodio che capitò a Parigi a Picasso, quando gli mostrarono un dipinto di Paul Cézanne, artista a cui tanto si ispirò per il cubismo. Un giornalista gli chiese se quel dipinto potesse essere definito arte e lui rispose facendo l’esempio di un cinese che parlava con un francese: i due non si capivano, ma non perché il cinese fosse ignorante o non sapesse parlare, bensì semplicemente perché il francese non conosceva la lingua cinese o non aveva un vocabolario adatto per tradurre i termini cinese. Dunque, per interpretare l’arte contemporanea, è necessario avere un vocabolario: che sia esso un critico, uno storico o una semplice spiegazione stampata o in formato digitale, non importa; l’importante è che ci sia uno strumento in grado di dischiudere e svelare i lucchetti ermetici che spesso imbrigliano le opere d’arte contemporanee.
Come si educa, dunque, alla bellezza?
La società di oggi, che, come dicevo all’inizio è volta al calcolo e al mercato, non invoglia certamente le giovani generazioni a ritagliarsi del tempo per ammirare il bello, soprattutto se ciò comporta un dover impiegare fatica, un dover fare una riflessione, perché i nostri giovani sono figli del clic e vorrebbero che tutto fosse istantaneo e veloce. Certo è che chi ha avuto la fortuna fin da piccolo di poter essere spinto alla curiosità e quindi di essere stato sensibilizzato al bello e all’arte, sicuramente troverà modo e tempo di fermarsi ad ammirare le bellezze artistiche; altri, invece, potrebbero fare più fatica, anche perché la nostra società non spinge i giovani a riflettere, a ragionare, cosa che invece la cultura e l’arte invece richiedono.
Lei come è stato educato alla bellezza? Come è nata in lei la passione per l’arte?
Sono sempre stato molto curioso fin da piccolo, grazie ai miei genitori Ersilia e Vincenzo, in particolare mia madre che è insegnante di Lettere alla Scuola Secondaria di I grado e che ha spinto me e mio fratello Luca, anche lui oggi docente ma di Informatica, ad appassionarci alla vita e alla bellezza. Per questo motivo fin da piccolo ho nutrito grande curiosità nei confronti della storia e dell’arte. Perciò, dopo essermi diplomato presso il Liceo Socio-psico-pedagogico “San Giovanni Battista” di San Benedetto del Tronto, ho scelto la Facoltà di Storia e Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università di Macerata, laureandomi in Storia dell’Arte. Terminati gli studi universitari, ho svolto per tre anni, presso lo stesso ateneo, l’incarico accademico di cultore della materia in “Museologia e Standard Museali”, con la prof.ssa Patrizia Dragoni, titolare della Cattedra. A partire dal Novembre del 2004, ho intrapreso poi una importantissima collaborazione con il prof. Stefano Papetti, direttore delle Collezioni Comunali di Ascoli Piceno, a cui va il mio profondo ringraziamento per avermi permesso di formarmi in questo ambito a me molto caro.
La sua passione per l’arte e la storia l’ha condotta negli anni a curare parecchie mostre d’arte e a tenere numerosi incontri culturali a tema storico. A questi impegni se n’è aggiunto un altro la scorsa estate: la Quintana. Come è stato commentare la storica rievocazione medievale della sua Città?
È stata una grandissima emozione! Sono responsabile del Gruppo Comunale della Quintana, su incarico del Sindaco Marco Fioravanti, e quest’anno ho fatto anche da commentatore storico delle due Quintane e dell’Offerta dei Ceri per i canali ufficiali del Comune. Per me sono stati momenti davvero preziosi, anche perché si tratta di una manifestazione a cui sono molto legato.
In questi lunghi anni lei ha redatto numerose schede comparse nei cataloghi delle più importanti mostre allestite nelle Marche. Quale ricorda con maggiore piacere?
Grazie al prof. Papetti ho avuto l’opportunità di pubblicare la mia prima scheda di catalogo nel 2006, nell’ambito della mostra “I pittori del Rinascimento a San Severino“, che si è tenuta all’interno del Palazzo Servanzi Confidati e che è stata curata dal prof. Papetti e dal noto critico d’arte Vittorio Sgarbi. Forse è proprio a questa scheda di catalogo che sono particolarmente legato, perché è stata la prima. Da qui in poi, sempre grazie al direttore delle Collezioni Comunali di Ascoli Piceno, per ben diciassette anni ho curato le pubblicazioni di numerose rassegne nel territorio marchigiano e, negli ultimi anni, anche nel vicino Abruzzo. in collaborazione con l’associazione culturale “PescarArt & Co.“.
La sua passione educativa l’ha portata a scegliere l’insegnamento come professione e i numerosi Istituti in cui insegna le permettono di avere a che fare con studenti di tutte le fasce di età. È faticoso o stimolante avere una comunità studentesca così variegata?
É vero: ho la fortuna di abbracciare le tre fasce evolutive dell’uomo, dai sei agli ottant’anni. Sono infatti docente alla Scuola Primaria presso l’Istituto San Giovanni Battista di San Benedetto del Tronto, professore di Lettere e Storia dell’arte presso il Liceo delle Scienze Umane dello stesso Istituto e docente di Storia dell’Arte presso l’Università della Terza Età e del Tempo Libero sia di Ascoli Piceno che di San Benedetto del Tronto. Per me è un grande onore, perché ricevo dai bambini, dai giovani e dagli adulti tante bellissime emozioni che mi spingono a svolgere questo lavoro come una passione e non solo come un impegno lavorativo. Credo di essere molto fortunato, perché mi sento come se non avessi mai davvero lavorato, ma avessi semplicemente dato compimento ad una grande passione, di cui non avverto la fatica, ma solo il piacere nello svolgerlo. Quando doni una parte di te ai tuoi studenti, a prescindere dall’età, ricevi da loro molto di più e ti arricchisci immensamente. Ho anche la fortuna di lavorare presso l’Istituto Scolastico Paritario in cui ho studiato e che per me rappresenta la mia seconda casa. Pertanto, non solo svolgo un lavoro che è una grande passione, ma lo faccio anche in un ambiente che per me è come se fosse casa. A tale proposito colgo l’occasione per ringraziare tutta la comunità delle Suore Battistine di San Benedetto del Tronto, in particolare la madre provinciale Suor Maria Pina Borrelli, l’attuale preside Suor Jolanta Sadowska e l’attuale Superiora Bozena Furtak.
Lei è anche docente di un Seminario di Arte Sacra presso la Scuola di Formazione Teologica della Diocesi di San Benedetto del Tronto. Oggi l’arte può avere ancora una funzione evangelizzatrice?
Intanto colgo l’occasione per ringraziare mons. Carlo Bresciani, don Lorenzo Bruni e mons. Gianpiero Palmieri, che, nell’ordine, mi hanno coinvolto a svolgere lezioni di Arte Sacra all’interno dei Seminari della Scuola di Formazione Teologica.
Per quanto concerne la domanda, l’arte sacra è da sempre fonte di evangelizzazione e di catechesi, anzi nasce da sempre con questo obiettivo, fin dai dipinti all’interno delle catacombe, dove compaiono immagini della Vergine con il bambino, iconografie e simboli cristiani, come il pesce, la croce, la stella, con l’obiettivo di evangelizzare, catechizzare, diffondere il Verbo di Dio attraverso le immagini. In particolar modo, nella società di oggi, l’arte ha il vantaggio dell’immediatezza, della rapidità: le immagini, infatti, arrivare all’occhio del fedele in maniera più veloce e diretta, rispetto all’ascolto o alla lettura dei testi sacri. L’arte quindi potrebbe affiancare la lettura, l’analisi e il discernimento dei testi sacri, facilitando la codificazione del messaggio cristiano.
Qual è il suo rapporto con la fede?
La fede caratterizza la mia vita fin da piccolo. Sono stato prima guidato dai miei genitori nel cammino cristiano, poi impegnato come catechista nelle parrocchie di San Filippo Neri a San Benedetto del Tronto e della Santissima Annunziata a Porto d’Ascoli. Ora condivido il mio percorso di fede con la mia famiglia, in particolare con mia moglie Laura, che insegna alla Scuola Primaria presso l’Istituto Cattolico Paritario “Preziosissimo Sangue” di Ascoli Piceno: insieme, cerchiamo di condurre anche i nostri due figli, Matteo e Samuele, verso questa direzione.
La mia fede è un cammino che compio all’interno della famiglia. A volte ci sono momenti di difficoltà, in cui la croce è più pesante da portare; altre volte, invece, il fardello si fa più leggero e tutto sembra più bello: in entrambe le circostanze, però, lungo il tragitto, rimane sempre una stella ad illuminare il nostro cammino. E proprio la fede!
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