(Foto: AFP/SIR)

Francesco Vignarca

Qualche mese fa aveva giustamente destato scalpore la sentenza del Consiglio di Stato che dava possibilità alle amministrazioni locali di non fornire tutte le ore richieste per assistenza e inclusione scolastica ad alunni con disabilità, in mancanza di risorse economiche. Secondo quella sentenza una considerazione meramente finanziaria deve essere prevalente su quelle che sono invece le strade per garantire una vita degna e piena, soprattutto a chi ha maggiori fragilità. Di fronte a una situazione del genere bisogna chiederci se sia davvero solo una questione di mancanza di risorse. Forse non è così, perché più che mancanza di risorse il tema è quello di come vengano allocate. Vengono dunque subito in mente i fondi ingenti, e in robusto aumento, che continuano ad essere destinati alle armi e agli eserciti.Perché per la spesa militare non ci sono mai tagli? Perché quel tipo di risorse è sempre disponibile ed erogabile a chi vuole nuovi cacciabombardieri, missili, artiglieria, navi militari?Davvero il “diritto” ad armarsi, che peraltro non garantisce sicurezza e men meno pace, deve prevalere su tutto anche a discapito di diritti ben più fondamentali e cruciali per ciascuna persona? Anche per queste considerazioni, e non a caso nelle ore in cui è stata presentata dal Governo la nuova Legge di Bilancio, abbiamo voluto lanciare come società civile italiana una nuova abilitazione contro le spese militari. E per spostare soldi, pensieri, investimenti su salute, istruzione, ambiente, solidarietà e ovviamente la pace. Le nostre richieste sono chiare e derivano da una contesto problematico ed urgente, come esplicitato dai documenti di lancio della Campagna “Ferma il riarmo”.
“La spesa militare globale è in crescita da oltre due decenni, come dimostrano tutti i dati internazionali più attendibili: una tendenza ulteriormente rafforzata negli ultimi due anni e mezzo a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della ripresa di retoriche e politiche sempre più allineate alle richieste del comparto militare-industriale-finanziario. Ciò che prima veniva deciso in termini meno dispendiosi, ma con opacità e reticenze, oggi viene rivendicato: da qui la crescita enorme delle risorse che gli Stati mettono a disposizione del comparto militare, in particolare per quanto riguarda la produzione e il commercio di nuovi sistemi d’arma”. Per cui come possiamo difendere il nostro diritto alla salute e salvare il nostro sistema sanitario? Come  affrontare le emergenze climatiche e i disastri ambientali?

Se non riduciamo le spese militari, come investire sui giovani, sulla scuola e sul diritto ad un lavoro dignitoso? Come contrastare la povertà e le disuguaglianze sociali che stanno esplodendo? Come sviluppare la solidarietà e la cooperazione internazionale? 

Siamo ad un bivio, e la scelta che verrà fatta andrà ad ipotecare il nostro futuro: ci verrà “rubato” sprecando i soldi di tutti su strumenti distruttivi o verrà fatto fiorire da investimenti più giusti, sostenibili, vantaggiosi? Spenderemo 2.000 milioni per nuove Fregate FREMM Evo o per 15.000 infermieri in più per 5 anni? 1.225 milioni per un sistema di sistemi per la fanteria pesante o per 770 piccole opere contro le alluvioni? 397 milioni per completare il Cacciatorpediniere DDX o per mettere in sicurezza 800 scuole? 1.420 milioni per i nuovi carri armati da battaglia o per 9.700 assistenti domiciliari ad anziani per cinque anni?

Le proposte della Campagna sono chiare e prendono avvio dalle analisi, gli approfondimenti, le azioni già condotte in questi anni dalle organizzazioni promotrici (che sono Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, Greenpeace Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo e Sbilanciamoci): ridurre la spesa militare a livello nazionale e globale, con creazione di nuovi percorsi di disarmo; utilizzare le risorse liberate dalla spesa militare per spese sociali, ambientali e per il rafforzamento degli strumenti di pace; tassare gli extra profitti dell’industria militare; diminuire i fondi destinati alle missioni militari all’estero; aumentare controlli su influenza indebita dell’industria militare su bilancio ed export militare. Nella conferenza stampa di lancio di “Ferma il riarmo” tenuta il 23 ottobre alla Camera dei Deputati (alla vigilia della Settimana ONU per il disarmo) ho voluto sottolineare come la militarizzazione del pensiero, del linguaggio, delle politiche in corso negli ultimi anni abbia garantito quasi senza opposizione quell’aumento folle e pericoloso delle spese militari (in particolare per nuovi sistemi d’arma) che vediamo sotto i nostri occhi.Ribadendo che tali scelte di investimento armato (nonostante una certa “propaganda”) non potranno mai portare a maggiore sicurezza, ma solo a più affari per il complesso militare-industriale-finanziario.

Con questa nuova campagna non solo vogliamo rendere evidente la posizione della maggioranza dell’opinione pubblica, ma domandiamo alla politica una presa di responsabilità: quali sono (e di chi sono) gli interessi e soprattutto i diritti che vuole davvero garantire? Per questo chiediamo una inversione di rotta, con una riduzione delle spese militari italiane parallela a quella riduzione globale che è oggetto di diverse Campagne internazionali, così come Convocazione di una nuova Conferenza ONU per il Disarmo.

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