Silvia Rossetti
Nei giorni scorsi la triste notizie del quindicenne suicida di Senigallia ha riportato all’attenzione dei media il fenomeno del bullismo tra gli adolescenti e della difficoltà che vivono alcuni giovani con fragilità a inserirsi nel gruppo dei pari. Ne parliamo con Daniela Chieffo, professore associato e direttore dell’Unità Operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica Fondazione Policlinico Agostino Gemelli.
In una dinamica di bullismo tra bambini o adolescenti qual è il profilo tipico della vittima?
Chi subisce bullismo solitamente ha un profilo che non corrisponde ai canoni che la società identifica come “forti” o “vincenti”, risulta dissonante rispetto agli altri e quindi attira l’attenzione del piccolo gruppo. A volte è “diverso” semplicemente nel modo di vestire, o di relazionarsi agli altri. Anche un bambino o adolescente plusdotato può essere al centro di una dinamica di bullismo a causa della sua “non ordinarietà” e del suo modo di esprimersi. Gli stereotipi e la tendenza all’omologazione sono pregnanti purtroppo anche nelle giovani generazioni, alcuni aspetti vengono enfatizzati dai social media e dalla cultura digitale.
Come mai la diversità e la fragilità a volte non trovano accoglienza e protezione all’interno di ambienti strutturati come scuole e comunità educanti?
I fattori sono molteplici. A volte i soggetti fragili mascherano il proprio disagio perché provano vergogna nel confidare agli adulti le molestie o i soprusi subiti. Tendono così a chiudersi e a cercare all’interno del gruppo una posizione periferica. Al contempo, però, si convincono che per essere accettati e instaurare un legame con i pari debbano assecondare un meccanismo vessatorio che col tempo diviene insostenibile. Queste ambiguità fanno sì che tra il bullizzato e i bulli si crei una relazione deviata, non sempre evidente però a occhi esterni. D’altro canto, in alcuni casi gli adulti sottovalutano in maniera grave segnali inequivocabili. A quel punto la responsabilità di questi ultimi è enorme.
In queste circostanze si può parlare di una responsabilità “sistemica”, cioè dell’ambiente intero in cui il dramma del singolo si consuma?
Tutti quei comportamenti aggressivi e vessatori che si consumano nei confronti dei più deboli sono spesso il risultato di un apprendimento sociale.
Il bullo porta avanti uno schema relazionale non innato, ma che riproduce per imitazione. Ci sono genitori che offrono rinforzi positivi agli atteggiamenti sopraffatori dei propri figli, perché ritengono che siano manifestazioni tipiche del carisma di un leader. Occorre invece essere vigili su questi comportamenti e attivare delle pratiche di prevenzione del bullismo fin dalla prima infanzia.
Questo fenomeno, tra l’altro, polarizza due diverse fragilità: quella dell’aggredito e quella dell’aggressore.
Anche il bullo esprime un disagio
e in età evolutiva il suo malessere può essere ancora sanato.
Il clima sociale può contribuire a inasprire le dinamiche di bullismo?
I modelli che giovani e giovanissimi imitano vengono proprio dal contesto sociale. Oggi le aggressioni, le discussioni, i litigi purtroppo fanno audience e diventano perfino virali.
L’aggressività è molto diffusa anche a livello verbale, facilmente si ricorre all’ingiuria e all’offesa gratuita. La cultura divisoria condiziona fortemente le nostre relazioni sociali.
Nelle vittime qual è il sentimento più devastante?
La sensazione dominante è un profondo senso di inadeguatezza che porta ad amplificare nel bullizzato il senso di solitudine.
Le vittime di bullismo spesso perdono completamente di vista le proprie risorse,
sperimentano il vuoto e lo smarrimento interiore. I genitori e gli insegnanti dovrebbero aiutare le giovani vittime di bullismo a costruire delle relazioni alternative, solidali e gratificanti e a sviluppare nei confronti del mondo una maggiore fiducia.
Come si giunge al proposito di togliersi la vita?
Episodi di sopraffazione e vessazioni reiterate generano traumi importanti, soprattutto quando avvengono in maniera sommersa. A volte il suicidio è identificato come l’unica strada che porta alla liberazione. Il dolore può essere estenuante, soprattutto se vissuto in solitudine. Chi arriva a una scelta così tragica percepisce la propria esistenza come inutile e viene sopraffatto dal senso dell’abbandono.
0 commenti