Di Beatrice Testadiferro
MARCHE – Il cammino sinodale della Chiesa italiana prosegue. Vi proponiamo l’intervista a mons. Nazzareno Marconi, vescovo di Macerata e presidente della Conferenza episcopale marchigiana.
La Chiesa sta vivendo il Sinodo, dal 2021 al 2024. Sono diversi i momenti di questo percorso che vuole essere uno stile e un processo. Come chiesa marchigiana, quali percorsi sono stati attivati?
È sempre bene aiutare a capire cosa si intenda quando si parla di Sinodo. Per camminare insieme (Sin-odos) bisogna prima di tutto capirsi bene. Mentre è in atto il Sinodo universale dei vescovi, che proprio in questo mese di ottobre si sta svolgendo a Roma, l’Italia ha dato il via a un parallelo e integrato cammino di riflessione comune non solo dei vescovi, ma di tutte le componenti della Chiesa o meglio delle Chiese diocesane che vivono in Italia. Queste due iniziative si sono molto integrate nei primi due anni impegnandosi nell’ascolto comune, anche perché papa Francesco ha voluto che il Sinodo dei vescovi sulla sinodalità non si limitasse ai vescovi, ma coinvolgesse nell’ascolto e, in qualche modo, anche nella deliberazione, tutte le componenti della Chiesa. Di fatto il Sinodo sulla sinodalità è stato ed è ancora un processo esperienziale di cammino e riflessione comune. Non solo si è teorizzata la sinodalità, ma si è cominciato a viverla in pratica.
Nelle Marche questo ha comportato che anche per il Cammino sinodale italiano non si è accentrata la direzione nella presidenza della Cem, ma in un’equipe composta da un vescovo, mons. Franco Manenti, un sacerdote, don Giordano Trapasso e una laica l’avv. Lucia Panzini. Come presidente Cem posso solo testimoniare l’attenzione e il coinvolgimento personale di ogni vescovo marchigiano, sia nell’ascolto ampio e generalizzato per due anni a servizio del Sinodo universale, che nel focalizzarne i temi sui punti più specifici del Cammino sinodale delle Chiese in Italia. Tutti i vescovi, con i delegati diocesani e regionali parteciperemo alla prima assemblea generale di questo Cammino sinodale che si terrà a Roma dal 15 al 17 novembre.
Ci sono state occasioni di incontro comune tra i sacerdoti delle diocesi marchigiane per confrontarsi sullo stile promosso dal Sinodo?
Certamente. Lo si è fatto in varie occasioni in questi anni, sia a livello diocesano che interdiocesano, ma soprattutto nella Giornata del clero marchigiano che si svolge ogni anno a Loreto, dedicata in questi anni a momenti di riflessione, ascolto e anche azione attraverso il metodo dei tavoli sinodali. Quanto raccolto nell’ascolto attuato dalle diocesi è stato elaborato a livello regionale e tramesso a Roma dalla Commissione Regionale. Lo stile sinodale richiede chiarezza nei vari passaggi e ordine nelle deleghe, una metodologia che non è facile apprendere in poco tempo, ma verso la quale si sta camminando a vari livelli.
In questi anni, come si sono mosse le parrocchie? Sono riuscite a organizzare le assemblee parrocchiali o altro per coinvolgere i fedeli?
La realtà ecclesiale italiana, in cui quella marchigiana non fa eccezione, presenta un quadro molto diversificato. Si pensi al fatto che definiamo parrocchia sia un piccolo centro di meno di 100 abitanti dove un parroco giunge di corsa da altrove per celebrare una Messa la domenica, sia una realtà cittadina di oltre 5000 abitanti, dove preti e laici impegnati coordinano molte attività liturgiche, catechetiche e caritative.
Nel secondo caso il Cammino sinodale è già realtà quotidiana da tempo, ma la gran parte dei territori montani e dell’interno, che ormai vivono una pastorale di eroica resilienza, non hanno ragionevolmente le forze per questi standard.Anche per queste micro-parrocchie e forse soprattutto per loro il Cammino sinodale sarà prezioso per indicare vie pastorali nuove, ormai non più rimandabili.Esperienze di Unità pastorali, comunque vengano chiamate, per rispondere a queste sfide soprattutto nelle zone dell’interno e più spopolate, non sono solo determinate dalla carenza di clero, ma dal fatto che se la comunità cristiana non ha una minima consistenza anche di laici non riesce a vivere la fede, né tantomeno a trasmetterla efficacemente alle nuove generazioni. Su questi temi il Cammino sinodale potrà dare linee operative preziose.
I percorsi catechistici nelle parrocchie hanno risentito, secondo lei, di questo processo?
Dove ci sono delle realtà parrocchiali che vivono e funzionano e non solamente sopravvivono a fatica, il percorso dell’ascolto e del confronto, tipico degli incontri sinodali, ha cominciato a far intravedere nuovi spazi e nuovi percorsi.La Chiesa è un organismo vivente, non una macchina; perciò, i cambiamenti non si fanno con veloce sostituzione dei pezzi obsoleti, ma con la lenta crescita di parti nuove dell’organismo.Questo processo evolutivo è necessariamente lento e complesso, ma quello che ragionevolmente si può fare è potenziarlo e assecondarlo. Con le rivoluzioni si provocano solo cadaveri e si pongono spesso le basi per una controrivoluzione che fa tornare al punto di partenza. La catechesi, soprattutto nella funzione di sostanziare e sostenere il passaggio della fede da una generazione all’altra, ha oggi più chiare le sue malattie e fragilità, ma le soluzioni evidenti e condivise non ci sono ancora.
Incontrare, ascoltare, discernere: tre verbi del Sinodo. Si possono cogliere nella Chiesa marchigiana alcuni frutti di questo processo sinodale in corso?
Personalmente preferirei che questi verbi venissero coniugati in una maniera più comunitaria. La formula incontrare, ascoltare, discernere che nasce nell’ambito della tradizione spirituale della direzione spirituale ignaziana, è ancora leggibile come una serie di azioni tra due singoli. Un’azione più chiaramente ecclesiale la coniugherei piuttosto con accogliere, accompagnare e discernere. In questo senso il lavoro di crescente collaborazione tra vescovi e tra diocesi marchigiane fa ben sperare. Anche qui però è bene usare le parole giuste: le Marche sono una espressione geografica, la Chiesa marchigiana in senso stretto non esiste, ma ci sono le Chiese che sono nelle Marche.Prima le comunità e gli apostoli che le guidano e poi le circoscrizioni geografiche,sempre provvisorie in un mondo in cui anche l’Europa è ormai troppo piccola.
Pensa che i fedeli marchigiani, le persone che partecipano alle celebrazioni della domenica, le famiglie che scelgono di far seguire i percorsi catechistici ai propri figli abbiano sentito parlare del Sinodo o siano stati coinvolti in qualche iniziativa?
Nell’esperienza di visita pastorale che sto portando avanti da oltre un anno e che mi ha permesso di incontrare ormai quasi tutte le parrocchie della diocesi, sto vedendo che il numero di coloro che vanno sempre a Messa la domenica è ormai molto ridotto, credo che sia di poco sopra al 10% della popolazione. In compenso però si tratta di persone motivate, informate e coinvolte nella vita della Chiesa, non solo anziani, ma per lo più famiglie. Con questo zoccolo duro di credenti, che su circa 60 milioni di italiani diventano tra 6 e 7 milioni se il Sinodo opererà un vero cammino comune, dando vita a una rete di credenti impegnati che condividono opinioni, progettualità e azione educativa e caritativa, credo che si possa fare molto. Soprattutto oggi, in una società fortemente individualista e quindi molto frammentata. È già il seme di quella minoranza creativa di cui parlava papa Benedetto XVI.
Come vescovo, cosa si attende da questo Sinodo?
Meno di quanto sognano alcuni, ma più di quanto si aspettano molti catastrofisti, che sembrano già pronti a gestire la messa in fallimento della Chiesa cattolica. Dietro calcoli e statistiche che verificano solo l’azione umana, nella Chiesa è anche oggi evidente, per chi non chiude gli occhi della fede, che in tutta questa realtà del Sinodo universale e del Cammino sinodale delle Chiese in Italia lo Spirito Santo abbia continuato a operare e a suscitare energie di bene. Sono un realista con una buona dose di speranza fondata sulla mia poca fede, per questo non dubito che vedremo dei frutti.
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