(Foto ANSA/SIR)

Maddalena Maltese

L’ultimo sondaggio pre-elettorale pubblicato dalla rete americana NBC, domenica, ha mostrato una situazione di stallo tra i due candidati alla Casa Bianca. Donald Trump, candidato repubblicano, e Kamala Harris, candidata democratica, hanno ottenuto rispettivamente il 49% delle preferenze degli intervistati, con appena un 2% di indecisi. Se si scende nello specifico, la Harris supera Trump di 20 punti quando si interpellano gli elettori sull’aborto e il rispetto delle istituzioni, mentre l’ex presidente batte la vicepresidente per 10 punti quando i temi sul tappeto riguardano l’economia e il costo della vita.

Nonostante entrambi i candidati abbiano tenuto la scorsa settimana i discorsi di chiusura della loro campagna elettorale, continuano il loro tour negli Stati indecisi, sperando che fino alla fine l’ago della bilancia si muova in un’unica direzione.

Oltre 75 milioni di americani quella direzione l’hanno già decisa perché hanno scelto di votare in anticipo o per posta rispetto al giorno ufficiale dell’elezione: il 5 novembre. Hanno votato preoccupati per l’integrità del processo elettorale, messo in crisi da narrative cospirazioniste, da fake news diffuse da hacker collegati a Russia e Cina. Hanno votato temendo l’esito delle urne, poiché Donald Trump ha già fatto intendere che non accetterà un risultato che non lo veda vincente e il partito repubblicano ha già schierato migliaia di avvocati e rappresentanti di lista pronti a contestare ogni singola preferenza, specialmente negli Stati dove a fare la differenza saranno poche centinaia di voti. Gli americani hanno votato e voteranno nel timore che la loro democrazia sia sotto attacco di nemici interni, di tendenze fasciste, di isolazionismi economici e di divisioni che resteranno anche dopo il 5 novembre.

Questo fine settimana molti bollettini parrocchiali recavano la preghiera che i vescovi americani hanno suggerito per le elezioni, dove invitano i fedeli a rispondere da cittadini fedeli al Vangelo, alle preoccupazioni e ai problemi delle città e del Paese. La preghiera invita anche al discernimento per “scegliere leader che ascoltino la tua Parola”. Sono migliaia le parrocchie che nelle ultime settimane sono diventate seggi elettorali per consentire il voto anticipato in presenza e ad una distanza raggiungibile per i membri della comunità.

Mons. John Graham nella parrocchia di Santa Francesca di Chantal nel Bronx ha installato un seggio elettorale da circa una settimana. Nel suo messaggio domenicale, ha invitato a non astenersi, poiché “la possibilità di votare è un privilegio prezioso e un’opportunità per le persone di fede di portare una dimensione spirituale e religiosa al voto”.

Martedì, quindi, più che ad un’apertura ufficiale dei seggi se ne attenderà la chiusura, che avverrà in diversi orari, secondo i regolamenti di ogni Stato, e che di fatto determinerà chi governerà la prima potenza mondiale nei prossimi quattro anni, una potenza che ha visto il suo processo elettorale indebolito proprio da quei candidati che sarebbero chiamati a difenderlo. Martedì si chiuderà anche una campagna elettorale fatta di insulti beceri, spregevoli, minacciosi che hanno sdoganato aggettivi e parole lesive della dignità delle persone coinvolte nella campagna, siano esse candidate o meno. Un linguaggio d’odio che il 6 novembre continuerà ad avvelenare le relazioni, anche quando le urne saranno chiuse.

 

Come si vota negli Usa

L’elezione del presidente degli Stati Uniti non viene decisa tramite il voto popolare, ma attraverso un processo noto come Collegio elettorale. In questo sistema, a ciascuno dei 50 Stati degli Stati Uniti viene assegnato un numero di voti elettorali in base alla popolazione. La California, che conta circa 40 milioni di abitanti, può contare su 54 voti elettorali, mentre il Wyoming, con circa 600.000 abitanti, ne ha 3. Il numero totale di voti elettorali è 538. Vince chi ne conquista 270. Quando ci si reca alle urne per esprimere il proprio voto, un elettore statunitense sta di fatto suggerendo ad una lista di elettori statali, i cosiddetti grandi elettori, per chi dovrebbero impegnarsi a votare.
Nella maggior parte degli Stati, il candidato che riceve la maggioranza del voto popolare vince tutti i voti elettorali dello Stato e quindi i grandi elettori devono di fatto certificare questa vittoria. Fanno eccezione due Stati, Maine e Nebraska, che utilizzano un sistema proporzionale di assegnazione dei voti elettorali.

Chi sono i grandi elettori? In genere sono attivisti politici, con regolari lavori, ma anche amministratori comunali o legislatori statali. L’elenco dei grandi elettori democratici include, tra gli altri, “superdelegati” come l’ex presidente Barack Obama, ma anche un insegnante d’arte e un massaggiatore. Tra i grandi elettori repubblicani si annoverano Donald Trump Jr., figlio dell’ex presidente, uno sceriffo di contea e un agente immobiliare.
Dopo le elezioni, i cosiddetti grandi elettori, si riuniranno nelle capitali dei loro Stati per esprimere formalmente i loro voti per il presidente e il vicepresidente. A gennaio, poi, si terrà una sessione congiunta del Congresso per certificare i risultati delle elezioni e il prossimo presidente degli Stati Uniti entrerà in carica il 20 gennaio 2025.
Il Collegio elettorale, che è stato istituito nella Costituzione degli Stati Uniti, è stato oggetto di molti dibattiti e il candidato alla vicepresidenza democratica, Tim Walz, ne ha proposto la modifica, poiché il processo può portare i candidati a perdere il voto popolare ma a vincere il voto elettorale. Questo scenario si è verificato nelle elezioni del 2016, quando la candidata Hillary Clinton vinse il voto popolare, ma perse le elezioni, perché Donald Trump vinse invece il voto elettorale.

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