“Metterò fine alla guerra in Ucraina, al caos in Medio Oriente ed eviterò la Terza guerra mondiale” e ancora, “Darò a Israele il sostegno di cui ha bisogno per vincere, ma voglio che vinca velocemente”. Queste le parole di Donald Trump, risuonate a meno di una settimana dal voto che lo ha incoronato 47° presidente degli Stati Uniti, che esprimono la volontà del Tycoon di continuare la politica ‘mediorientale’ del suo precedente mandato da presidente (2017-2021) che lo vide riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, ritirarsi dall’intesa sul nucleare iraniano e promuovere gli Accordi di Abramo, per riavvicinare Israele e alcuni paesi arabi come Emirati, Bahrain, Marocco. Non meno significative le congratulazioni arrivate dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, all’“amico” Trump per la vittoria: “lavoreremo sulle nostre relazioni bilaterali strategiche e su una forte partnership transatlantica”.
Per Alessia Melcangi, analista dell’Ispi, l’Istituto Italiano per gli Studi di Politica Internazionale, il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca non riserverà particolari sorprese, “certamente ci sarà un cambio di passo rispetto all’amministrazione Biden”, ma “la sua politica in Medio Oriente poggerà, ancora una volta, sui pilastri fondamentali della difesa e dell’alleanza indiscussa e indiscutibile con Israele”. Quindi “rilancio degli accordi di Abramo e dell’alleanza con l’Arabia Saudita nella prospettiva di creare una nuova ‘architettura di sicurezza’ nell’area che veda gli alleati regionali più attivi e con gli Stati Uniti più ‘defilati’, decisi ad evitare un coinvolgimento diretto nel conflitto regionale in corso”. Circa ‘i nemici’ nella regione, in primis l’Iran, “si potrebbe ipotizzare una ripresa della massima pressione nei confronti della Repubblica islamica”. La visione di Trump resta sempre più quella di un Medio Oriente basato sul business guidato da sauditi e americani e tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di questo obiettivo vanno rimossi anche ponendo fine ‘velocemente’ alla guerra a Gaza e nel Sud del Libano.
Per ciò che riguarda Gaza, lei crede che Trump agevolerà i piani di Israele e spingerlo verso la totale distruzione di Hamas?
Trump sarà orientato ad accontentare l’alleato israeliano il più possibile, nella misura in cui sarà realizzabile la fine di questo conflitto, anche se credo che, a un certo punto, dovrà condurlo ad un accordo con i palestinesi. Non penso, infatti, sia possibile chiudere il conflitto dando carta bianca a Israele. Se si vuole che i palestinesi accettino un accordo sul cessate il fuoco dovrà essere loro concesso un minimo, anche simbolico. A tale riguardo non va dimenticata la posizione dell’Arabia Saudita che ha posto come ‘conditio sine qua non’, per la ripresa di un Medio Oriente strutturato a livello regionale con alleanze com’era prima del 7 ottobre, il fatto che i palestinesi abbiano un riconoscimento, non dico uno Stato, ma un riconoscimento. Si tratta di un tema a cuore ai sauditi, non perché siano filopalestinesi, ma perché hanno un’opinione pubblica a casa che potrebbe creare problemi.
Quindi solo un riconoscimento simbolico ma nessuna soluzione ‘Due popoli, due Stati’, come auspicato dalla Comunità internazionale?
Questa soluzione è morta e sepolta perché se apriamo una cartina, guardando la disposizione territoriale, si nota che non esiste l’altro Stato. Parliamo di due popoli, ma non possiamo parlare di due Stati. Non c’è possibilità di trovare uno Stato con una continuità territoriale, in quanto la Cisgiordania è continuamente interrotta dalla presenza delle colonie. Quindi è impossibile sulla carta.
Israele è, ormai da settimane, impegnato anche al nord contro la milizia libanese Hezbollah, filo-iraniana. Quale potrebbe essere un possibile approccio di Trump a questo conflitto? Anche qui: dare carta bianca a Netanyahu oppure, più realisticamente, chiedergli di ricalibrare l’azione militare per ridimensionare lo scontro?
Credo che il presidente americano chiederà a Israele di ridimensionare il conflitto anche in Libano. La moderazione potrebbe essere richiamata in tutti i fronti. Ciò potrebbe voler dire il rientro degli sfollati israeliani del nord, ma non la creazione di una zona cuscinetto fino al fiume Litani come vorrebbe Netanyahu nella fascia sud del Libano che di fatto implicherebbe il passaggio del controllo della zona da Unifil all’esercito di Israele. Ma tutto dipenderà dalla velocità con la quale Trump vuole arrivare alla fine del conflitto.
L’elezione di Trump farà slittare ancora più a destra il Governo Netanyahu?
Spingere ancora più a destra l’attuale governo israeliano è complicato. Credo che Trump potrebbe dare una base di legittimità all’azione di questo governo che finora era stato in qualche modo ‘contestato’ dall’amministrazione Biden. Quest’ultimo, per esempio, si rendeva conto dell’impossibilità di riconoscere l’operato dei coloni ai danni dei palestinesi in Cisgiordania. Fatti assolutamente controproducenti anche per lo stesso governo israeliano. Con Trump si potrebbe avere questa legittimazione. Ma anche in questo caso: se Trump vuole arrivare a un accordo per la fine di questo conflitto non potrà dare ‘carta bianca’ ai coloni per occupare tutta la Cisgiordania e scacciando i palestinesi. Dovrà perciò limitare questo appoggio anche a costo di qualche dissapore con Netanyahu.
Altro grande fronte aperto, e non da ora, è quello con l’Iran. Accantonato l’accordo sul nucleare voluto da Obama, cosa è realisticamente lecito attendersi da Trump? Forse il ‘via libera’ a Netanyahu contro il regime degli ayatollah? L’implementazione degli accordi di Abramo, magari coinvolgendo anche l’Arabia Saudita (quinto paese per acquisto armi, seconda produzione mondiale di petrolio e miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture) in vista della normalizzazione dei rapporti con Israele?
Trump sarebbe ben felice di dare carta bianca a Israele, consentendone gli attacchi ai terminal petroliferi o ai siti nucleari iraniani. Ma ‘la pressione massima’ sull’Iran sarebbe rischiosissima perché trascinerebbe gli Usa in un confronto diretto che non vogliono. Inoltre, potrebbe avere un effetto collaterale: la reazione iraniana diretta, non contro Israele, ma contro i terminal petroliferi sauditi ed emiratini. Cosa questa ben nota ai Paesi del Golfo. Tutto ciò metterebbe a rischio la possibilità di riprendere gli accordi di Abramo. Trump dovrà fare attenzione a dare carta bianca a Israele, perché i contro effetti potrebbero coinvolgere direttamente l’America e anche altri Paesi della regione.
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