(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Di Alberto Baviera

“In Italia sono 5,7 milioni le persone e 2,2 milioni le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta. È stato certificato che nel nostro Paese gli indici di povertà assoluta non sono mai stati così alti”. Lo afferma Antonio Russo, portavoce di Alleanza contro la povertà in Italia, che in occasione della Giornata mondiale dei poveri, analizza la situazione dei poveri nel nostro Paese. I dati che l’Istat ha recentemente diffuso dicono che l’8,4% delle famiglie italiane e il 9,7% delle persone si trova in una condizione di povertà assoluta; e non arretra neppure la povertà relativa, che oggi coinvolge oltre 1 famiglia su 10, ovvero 8,5 milioni di individui. Numeri che sono “esplosi” rispetto a quelli che caratterizzavano la società italiana quando, alla fine del 2013, è nata l’Alleanza contro la povertà.

Come si è sviluppato il fenomeno della povertà nel nostro Paese nell’ultimo decennio?
Una decina di anni fa, con la quarantina di associazioni che hanno dato vita all’Alleanza contro la povertà, ci siamo accorti che qualche cosa stava cambiando nel Paese: il livello di povertà assoluta – anche se stanno purtroppo aumentando le situazioni di povertà relativa – si stava lentamente incrementando. E ci abbiamo visto giusto.

L’alleanza trasversale tra sindacati, associazioni, movimenti e organizzazioni che si occupano di povertà a vario titolo, riuscì già allora ad individuare un fenomeno che nel tempo avrebbe assunto la tendenza a cronicizzarsi,

come sta purtroppo accadendo ai nostri giorni. I dati, che sono sempre inequivocabili, ci dicono che

dal 2013 ad oggi il livello di povertà assoluto è triplicato.

In che modo si è modificata la povertà in questi anni? Qual è il profilo del povero italiano oggi?
Le forme della povertà, le sue declinazioni sono cambiate e stanno ancora mutando. Oggi siamo di fronte anche a forme di povertà molto insidiose. Pensiamo ai 1.300.000 bambini che vivono sotto la soglia della povertà assoluta e che hanno problemi di povertà educativa: è la condizione che mi spaventa di più perché riguarda minori che oggi non solo non si nutrono come dovrebbero ma non vanno neanche a scuola. Eppure anche loro rappresentano il futuro di questo Paese; e se non vengono messi nelle condizioni di crescere bene, probabilmente, un domani saranno dei cittadini dimezzati. Poi ci sono nuove forme di povertà sanitaria e farmaceutica, con un crescente aumento delle persone che non si curano o non si sottopongono a visite o esami di controllo perché non possono permetterselo. Inoltre, c’è un problema di povertà alimentare, fenomeno che nel nostro Paese avevamo quasi dimenticato. Le Acli, organizzazione dalla quale provengo, nel secondo dopo guerra in un’Italia che aveva bisogno di essere ricostruita si preoccupò anche di povertà alimentare, perché a quell’epoca il problema era notevole. Mai ci saremmo aspettati, dopo ottant’anni, di dover tornare ad occuparci di povertà alimentare provvedendo a raccogliere cibo, come fanno anche altre organizzazioni, per aiutare le persone indigenti.
Mi pare evidente che abbiamo davanti a noi un quadro scomposto di povertà che avanzano;

il volto della povertà in questi anni è cambiato e si è certamente aggravato.

Considerata anche la situazione economica congiunturale, chi rischia domani di essere un nuovo povero?
In questi anni, lo abbiamo detto,

la situazione è peggiorata. Con l’introduzione a fine 2023 dell’Assegno di inclusione (Adi) e del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) è raddoppiata la platea delle persone che non percepiscono un aiuto in grado di alleviare in qualche modo la propria situazione.

Sappiamo tutti che viviamo in un Paese che è tra i più vecchi d’Europa e nel quale il sistema di welfare, per esempio quello pensionistico, è sempre più in sofferenza. In questo contesto, l’unico approccio non consentito è quello del “Si salvi chi può, chi non può si aggiusti”: una democrazia come la nostra, con la Costituzione che abbiamo, non può ridursi a questo. E sta accadendo.

Con una popolazione anziana in crescita, e sempre più non autosufficiente, con la speranza di vita media che fortunatamente si alza, è possibile che quei 5,7 milioni in povertà assoluta aumentino se non si mette immediatamente mano a riforme strutturali e se non si supera la stagione dei bonus, organizzando invece politiche che permettano di affrontare seriamente le questioni e non con soluzioni temporanee e, alla fine, inefficaci.

Mi lasci aggiungere che, anche se l’Alleanza non si occupa di povertà relativa, sappiamo che la “middle class” è in difficoltà: nei primi 20-25 anni della storia repubblicana le famiglie appartenenti a questa fascia riuscivano ad avere un tenore di vita dignitoso e a far studiare i figli coltivando la speranza che il loro futuro potesse essere migliore. Oggi, invece, siamo nella triste realtà nella quale chi nasce povero rimane povero.

È certificato il fatto che chi nasce povero difficilmente riuscirà a riscattarsi da questa condizione.

Per questo il fenomeno non può essere sottovalutato ed è urgente, ancor più che nel 2013, che la politica lo assuma come impegno prioritario.

Su questo aspetto come Alleanza siete stati fin dall’inizio un pungolo…
Ancora oggi avvertiamo forte il dovere di tenere aperto il dibattito sulla povertà, perché non sia trattato come un argomento tra i tanti all’interno del dibattito pubblico e politico, quindi anche culturale. Continuiamo a ritenere che il tema della povertà assoluta debba avere una centralità perché occorrono politiche organiche e strutturali di riforma delle misure di contrasto alla povertà che non possono non essere universalistiche, al contrario di Adi e Sfl che sono categoriali. Mi faccia aggiungere che

la questione culturale sulla povertà va affrontata seriamente: sul tema si dicono troppe sciocchezze che alimentano una “subcultura” in crescita – quella per la quale si è poveri per colpa – e una retorica che non fanno bene alla società e neppure alla politica.

Anche per questo il mese scorso, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà, abbiamo diffuso una lista di 10 “fake news” che sono smentite nei fatti perché siamo convinti che le persone devono essere informate correttamente; solo così è possibile evitare di farsi convincere da falsi pregiudizi e vere e proprie bufale su poveri e povertà.

In che modo e con quali misure, secondo lei, si possono sostenere persone e famiglie che si trovano in condizioni di fragilità e difficoltà economica?
Come Alleanza contro la povertà stiamo lavorando a riformulare la proposta che noi facemmo 11 anni fa sul Reddito di inclusione sociale (Reis); sarà più strutturata rispetto a quella che rilasciamo di volta in volta nei “position paper” relativi alla Legge di bilancio o ad altre modifiche del quadro normativo. Nel frattempo, anche recentemente, in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio dei due rami del Parlamento, ho ribadito che

bisogna tornare ad una misura di contrasto che sia universalistica.

Peraltro, con l’introduzione della legge 85/2023 l’attuale Governo aveva detto di voler assumere un approccio “familistico” – e non “lavoristico” com’era per il Reddito di cittadinanza – alla questione della povertà. Ma, nella situazione attuale, è difficile per una famiglia di 2-3 componenti far quadrare i conti con gli attuali affitti, il costo della vita, l’inflazione che ha ripeso tristemente a salire. Le persone non ce la fanno anche se lavorano.

Quindi serve reintrodurre una misura universalistica, anche per reintegrare quella platea di beneficiari che passando dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione si è di fatto dimezzata.

Quali altre iniziative indispensabili proponete nell’interlocuzione con Parlamento e Governo?
Serve indicizzare l’Adi per proteggerne il valore nel tempo rispetto alla crescita dei prezzi; e va modificata la scala di equivalenza, affinché valorizzi tutti i maggiorenni, per agevolare il sostegno soprattutto alle famiglie con figli. Riteniamo poi che vada innalzata la soglia di accesso alle prestazioni per le famiglie in affitto così come è necessario ridurre i limiti di residenza in favore delle famiglie straniere; tra l’altro, su questo punto, il nostro Paese è sotto procedura d’infrazione da parte dell’Ue. Se si considerasse le famiglie straniere residenti povere com’è giusto che sia, faremmo un passo in avanti. A nostro avviso, poi, bisognerebbe prendere in considerazione la possibilità di cumulare almeno parzialmente il beneficio al reddito da lavoro attraverso l’estensione della franchigia di 3.000 euro oggi prevista: fatto salvo che chi è in condizioni di lavorare deve farlo, bisogna fare in modo che quell’aiuto al reddito che viene fornito attraverso la misura non venga penalizzato; l’attuale normativa non aiuta neanche l’emersione dell’evasione fiscale. Inoltre, serve dotare i servizi sociali dei Comuni delle giuste risorse – a cominciare dagli assistenti sociali – per sostenere i percorsi d’inclusione dei beneficiari, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni. Tra l’altro,

se dovesse mai andare a regime la riforma sull’autonomia differenziata saranno davvero dolori, perché ci troveremmo a vivere in un Paese diverso e diseguale, con una redistribuzione delle risorse legata alla spesa storica che produrrebbe quasi certamente un aumento della povertà o quanto meno della fragilità economica.

Infine, è necessario intervenire sui servizi territoriali per il lavoro che oggi sono sottodimensionati e non in condizione di rispondere alle sollecitazioni del mercato.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *