ASCOLI PICENO – «Abbiate il coraggio di sostituire le paure con i sogni. Non siate amministratori di paure, ma imprenditori di sogni!». Così diceva lo scorso anno papa Francesco ai giovani radunati a Lisbona per la GMG 2023.
Ma quali sono le paure e i sogni dei nostri giovani? Ne parliamo con la prof.ssa Sonia Arina, che, grazie al suo Dottorato in Scienze Psicologiche, di giovani ne ascolta molti e in diversi ambiti. Arina è infatti psicologa esperta in Psicologia dell’età evolutiva, Neuropsicologia clinica e Psicologia giuridica. È inoltre docente di Psicologia Cognitiva e Psicologia Scolastica presso l’Università di Urbino ed è Giudice Onorario presso la Corte di Appello di Ancona.
Prof.ssa Arina, lei è a stretto contatto con i giovani sia per via della sua docenza presso l’Università di Urbino sia per via della professione privata di psicoterapeuta. Quali sono i disagi maggiori dei giovani di oggi, le loro paure, ma anche i loro sogni?
«I giovani di oggi affrontano molteplici difficoltà che emergono sia nella sfera accademica che in quella personale. Uno dei disagi più comuni è l’ansia, spesso legata alle pressioni scolastiche e alle aspettative elevate, non solo da parte delle famiglie ma anche di una società che richiede risultati eccellenti. Questo si accompagna a una diffusa sensazione di stress, che molti giovani faticano a gestire.
Un altro problema rilevante è la depressione, alimentata da sentimenti di inadeguatezza e isolamento sociale. I social media, pur essendo strumenti utili, spesso amplificano questi disagi, poiché promuovono paragoni continui con modelli di vita irrealistici. A ciò si aggiungono difficoltà nelle relazioni interpersonali: instaurare legami autentici risulta sempre più complesso in un contesto dominato da comunicazioni rapide e superficiali.
Molti giovani vivono anche una profonda crisi di identità e autostima, derivante da dubbi su chi siano e su quale direzione vogliano dare alla propria vita. Questa insicurezza è spesso aggravata dalla percezione di un futuro incerto, segnato da instabilità economica e timori per le emergenze ambientali, che generano sentimenti di sfiducia e impotenza.
Questi disagi richiedono un approccio empatico e aperto. È fondamentale offrire ai giovani spazi di ascolto e confronto dove possano sentirsi accolti senza giudizio, per aiutarli a elaborare le loro difficoltà e a sviluppare maggiore consapevolezza e resilienza emotiva. La possibilità di esprimersi liberamente e di costruire relazioni di supporto rappresenta una chiave per affrontare questi problemi con maggiore serenità.
Un sistema socio-culturale basato su una competitività estrema e su un materialismo spinto ha effetti profondi sui giovani di oggi. In un contesto, dove il valore di una persona sembra essere legato principalmente al successo professionale e alla capacità di accumulare beni materiali, i ragazzi rischiano di sviluppare una visione superficiale della vita e di se stessi. Questa mentalità può generare una pressione costante per emergere, spingendo i giovani a concentrarsi sul raggiungimento di obiettivi materiali, spesso a discapito del benessere emotivo e delle relazioni autentiche.
Il materialismo, infatti, non solo alimenta un senso di insoddisfazione, ma può anche ostacolare lo sviluppo di una prospettiva più sana e equilibrata sulla vita, dove il valore individuale non si misura solo con ciò che si possiede. Questo può provocare una frustrazione costante, poiché il raggiungimento di obiettivi materiali spesso non porta alla felicità duratura, bensì a una spirale di desideri insoddisfatti e di confronti sociali incessanti.
La cultura della competizione estrema, inoltre, contribuisce a un ambiente dove il fallimento è visto come inaccettabile, accentuando l’ansia e l’autocritica nei giovani. L’incapacità di raggiungere un successo immediato o di conformarsi a standard sociali può portare a sensazioni di inadeguatezza e ad un progressivo deterioramento dell’autostima. Un tale sistema può anche isolare i giovani, che, focalizzandosi su se stessi e sulla propria realizzazione materiale, finiscono per trascurare aspetti fondamentali della crescita personale, come la solidarietà, l’empatia e la connessione con gli altri.
In definitiva, il materialismo e la competitività possono spingere i giovani verso una continua ricerca di approvazione esterna e di risultati immediati, compromettendo la loro capacità di sviluppare un’identità autentica e duratura. Questo scenario richiede un ripensamento dei valori sociali, in cui la crescita interiore e il benessere psicologico vengano riconosciuti come fondamentali per un’esistenza appagante e equilibrata».
Da sempre si parla di corresponsabilità tra scuola e famiglia, ma si fatica a costruire un dialogo. Quali consigli può dare al riguardo?
«Il dialogo tra scuola e famiglia è un aspetto fondamentale per il benessere degli studenti, ma spesso risulta difficile da costruire, soprattutto in un sistema scolastico che ha visto l’introduzione di approcci aziendalistici e manageriali. Questi modelli hanno accentuato la competitività e l’efficienza, portando a una visione della scuola come un’entità da “gestire” anziché come un luogo di sviluppo educativo e umano. Questo approccio, spesso, crea divisione tra scuola e famiglia, invece di promuovere un’effettiva collaborazione.
In un sistema scolastico orientato alla competitività, dove si enfatizzano risultati misurabili e performance, sia gli insegnanti che i genitori possono sentirsi sotto pressione. Le scuole, con la logica manageriale, spesso riducono l’educazione a una mera quantificazione del successo accademico, trascurando aspetti cruciali come il benessere emotivo degli studenti e la loro crescita personale. La competizione tra scuole per i risultati e la valorizzazione delle eccellenze può portare a un isolamento, in cui la comunicazione tra scuola e famiglia diventa subordinata agli obiettivi di performance, anziché a una visione condivisa del percorso educativo globale del ragazzo.
Un consiglio per migliorare questo dialogo in un contesto competitivo e manageriale è riconsiderare la definizione di successo. Invece di focalizzarsi solo sui risultati numerici e sulle performance, è essenziale che scuole e famiglie collaborino per promuovere valori come la creatività, la crescita emotiva e la resilienza. La famiglia deve essere vista come partner attivo nel supportare non solo il rendimento scolastico, ma anche il benessere psicologico e la capacità di affrontare sfide sociali ed emotive. La scuola, dal canto suo, dovrebbe accogliere la diversità dei percorsi e delle difficoltà individuali, evitando una visione uniforme dell’apprendimento.
Per favorire il dialogo, potrebbe essere utile creare spazi di confronto che vadano oltre i tradizionali incontri di valutazione, ma che siano orientati anche a discutere le sfide psicologiche e sociali che i ragazzi affrontano. Le scuole potrebbero, ad esempio, organizzare incontri formativi per i genitori, in cui si affrontano tematiche legate al supporto emotivo dei figli, alla gestione della competizione scolastica e alla promozione di un approccio più equilibrato all’apprendimento.
In sintesi, la corresponsabilità tra scuola e famiglia può essere potenziata solo se entrambe le parti si impegnano a lavorare insieme per ridurre la pressione competitiva e promuovere una visione olistica dell’educazione. È fondamentale che la scuola abbandoni il modello esclusivamente aziendalistico e riconosca il valore del dialogo continuo con le famiglie per il benessere complessivo degli studenti».
Cosa suggerisce ai tanti genitori ed educatori in genere?
«A genitori ed educatori si potrebbe suggerire di adottare una visione della crescita basata sulla partecipazione e relazione, anziché su un modello isolato e competitivo. È importante passare dalla concezione dell’individuo come entità separata a quella del “dividuo”, inteso come parte di un contesto relazionale che nutre la sua evoluzione. La crescita di ciascun ragazzo avviene grazie alla partecipazione attiva all’interno della comunità scolastica e familiare, dove il supporto reciproco, la condivisione e l’ascolto sono essenziali.
In questo processo, la collaborazione tra scuola e famiglia deve essere continua e reciproca, creando una rete di supporto che favorisca lo sviluppo emotivo, sociale e intellettuale. Genitori ed educatori dovrebbero lavorare insieme per valorizzare la pluralità delle esperienze e costruire un ambiente educativo che stimoli la partecipazione attiva di tutti. Solo attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti si può promuovere una crescita sana e integrata, capace di affrontare le sfide in modo condiviso».
Cosa possono fare le istituzioni per i nostri giovani? E la Chiesa?
«Le istituzioni possono svolgere un ruolo fondamentale nel promuovere il valore della partecipazione e della responsabilità tra i giovani, creando opportunità per il loro coinvolgimento attivo nella società. Ciò può avvenire attraverso la creazione di spazi di cittadinanza attiva, dove i giovani possano partecipare a progetti comunitari, decisionali e sociali. Ad esempio, istituzioni scolastiche e universitarie possono incoraggiare il coinvolgimento in attività di volontariato, in iniziative di governance giovanile o in progetti di servizio civile che insegnano l’importanza della responsabilità collettiva e del bene comune. Le istituzioni, quindi, devono favorire un modello educativo che integri non solo l’apprendimento accademico, ma anche quello civico e sociale, preparando i giovani ad essere cittadini responsabili e consapevoli.
La Chiesa, dal suo lato, può contribuire enormemente alla costruzione di questo valore di partecipazione, richiamando i giovani a un impegno di solidarietà e responsabilità sociale. Attraverso attività di volontariato, gruppi di giovani e momenti di riflessione, la Chiesa può rafforzare il senso di comunità, di cura reciproca e di responsabilità morale. In questo contesto, la Chiesa non solo offre supporto spirituale, ma stimola anche l’impegno attivo dei giovani nel servizio agli altri e nella costruzione di una società più giusta e inclusiva. Unendo il valore della responsabilità cristiana con l’importanza di un impegno sociale attivo, la Chiesa aiuta i giovani a comprendere che la partecipazione alla vita della comunità è un dovere fondamentale.
In sintesi, entrambe le istituzioni, quella civile e quella religiosa, hanno la responsabilità di favorire una cultura della partecipazione e di insegnare la responsabilità, con l’obiettivo di formare giovani consapevoli e pronti a impegnarsi attivamente per il bene comune e per la costruzione di una società più giusta e solidale».
Un recente studio, condotto dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica e curato dalla dott.ssa Paola Bignardi, ha rivelato che, a dispetto di quanto si pensi, i giovani hanno un forte desiderio di spiritualità. Qual è la sua esperienza in merito?
«Dalla mia esperienza, posso confermare che molti giovani manifestano un forte desiderio di spiritualità, anche se questo non sempre si traduce in un’adesione formale a religioni organizzate. La loro spiritualità, infatti, si esprime spesso attraverso una ricerca personale di significato che abbraccia il senso della vita, i valori morali e una connessione profonda con gli altri e con il mondo.
Questa ricerca si intensifica in momenti di difficoltà o cambiamento, quando i giovani sentono il bisogno di una guida interiore o di un senso di appartenenza a qualcosa di più grande. Spesso, tale desiderio si traduce in un impegno sociale e ambientale, vissuto come un modo per incarnare valori spirituali quali solidarietà, giustizia e rispetto per la vita.
In generale, si osserva un cambiamento nell’approccio etico dei giovani, che dimostra un crescente bisogno di valori umanistici. Questo bisogno si riflette, negli ultimi tempi, anche in una maggiore apertura verso la religione cattolica. Negli Stati Uniti, ad esempio, si sta registrando un aumento delle richieste di conversione al cattolicesimo, spesso da parte di giovani provenienti da religioni protestanti o altre tradizioni spirituali. Tale fenomeno sembra essere legato non solo alla ricerca di significato, ma anche al desiderio di far parte di una comunità che offra profondità spirituale, una ricca tradizione e una prospettiva universale.
Tuttavia, il desiderio di spiritualità dei giovani non si limita alla conversione o all’adesione formale a una religione. Essi cercano spesso una fede vissuta in modo autentico, capace di rispondere alle loro domande profonde, alle sfide etiche e al bisogno di relazioni significative. In un contesto socioculturale che spinge verso la disgregazione e l’isolamento sociale, emerge un forte bisogno di spazi di dialogo e confronto.
Per questo, la Chiesa cattolica, così come altre comunità religiose, deve continuare a offrire luoghi di ascolto aperti e strumenti per la riflessione personale, accompagnando i giovani nel loro percorso senza giudizio e con profondo rispetto per le loro esperienze.
In definitiva, il desiderio di spiritualità, insieme alla crescente apertura verso il cattolicesimo, rappresenta un segnale positivo. Mostra che i giovani non si accontentano di risposte superficiali e sono pronti a intraprendere un cammino spirituale che dia senso, comunità e speranza».
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