DIOCESI – Il discorso che Papa Francesco ha rivolto, durante l’udienza di questa mattina, ai pescatori provenienti da diverse Marinerie italiane, tra cui quella sambenedettese.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno, benvenuti!
Saluto i confratelli Vescovi presenti, i responsabili dell’Apostolato del Mare in Italia, le rappresentanze dei pescatori, le associazioni di categoria e i sindacati; e saluto i partecipanti al Convegno internazionale Universalità e sostenibilità dei Servizi Sanitari Nazionali in Europa, tenutosi ieri all’Università Lateranense.
Mi rivolgo per primi a voi, cari fratelli e sorelle del mondo del mare, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale della Pesca. La vostra attività è antichissima; ad essa sono legati anche gli inizi della Chiesa, affidata da Cristo a Pietro, che era pescatore in Galilea (cfr Lc 5,1-11). Nondimeno, essa vive oggi svariate difficoltà. Vorrei perciò suggerirvi qualche riflessione sul valore di ciò che fate e sulla missione che tale valore comporta.
Nel Vangelo i pescatori incarnano atteggiamenti importanti. Ad esempio la costanza nella fatica: i discepoli sono descritti come «affaticati nel remare» (Mc 6,48) per colpa del vento contrario, o ancora provati dall’insuccesso, mentre stanchi ritornano a terra a mani vuote, dicendo: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» (Lc 5,5). Ed è proprio così: il vostro è un lavoro duro, che richiede sacrificio e tenacia, di fronte sia alle sfide di sempre, sia a nuovi urgenti problemi, come il difficile ricambio generazionale, i costi che continuano a crescere, la burocrazia che soffoca, la concorrenza sleale delle grandi multinazionali. Questo però non vi scoraggia, anzi alimenta un’altra caratteristica vostra: l’unità. In mare non si va da soli. Per gettare le reti è necessario faticare insieme, come equipaggio, o meglio ancora come una comunità in cui, pur nella diversità dei ruoli, il successo del lavoro di ciascuno dipende dall’apporto di tutti. In questo modo la pesca diventa una scuola di vita, al punto che Gesù la usa come simbolo per indicare la vocazione degli apostoli: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17).
Care donne e cari uomini, voi del mare, dal Cielo vi aiuti anche il vostro Patrono, San Francesco di Paola.
E ora mi rivolgo a voi, fratelli e sorelle del mondo della Sanità. Il tema che avete affrontato nel vostro convegno pone la domanda su quale sia la condizione di salute in cui si trovano i Servizi e i Sistemi nazionali in Europa. Anche la vostra è una missione che costa fatica e richiede di saper lavorare insieme, in équipe. Io vorrei però invitarvi a porre l’attenzione su due ulteriori aspetti del vostro vissuto.
Il primo aspetto è quello del prendersi cura di chi cura. È infatti importante non dimenticare che voi sanitari siete persone altrettanto bisognose di sostegno quanto i fratelli e le sorelle che curate. La fatica di turni estenuanti, le preoccupazioni che portate nel cuore e il dolore che raccogliete dai vostri pazienti richiedono conforto, richiedono guarigione. Per questo vi raccomando di non trascurarvi, anzi di farvi custodi gli uni degli altri; e a tutti dico che è importante riconoscere la vostra generosità e ricambiarla, garantendovi rispetto, stima e aiuto.
Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è la compassione per gli ultimi. Infatti se, come abbiamo detto, nessuno è così autosufficiente da non avere bisogno di cure, ne consegue che nessuno può essere emarginato al punto da non poter essere curato. I sistemi e i servizi sanitari da cui provenite hanno alle spalle, in questo senso, una grande storia di sensibilità, specialmente verso chi non è raggiunto dal “sistema”, verso gli “scartati”. Pensiamo all’opera di tanti Santi religiosi che per secoli hanno fondato ospizi per malati e pellegrini; oppure a figure come San Giovanni di Dio, San Giuseppe Moscati, Santa Teresa di Calcutta: tutti sono stati veri “clinici”, cioè uomini e donne chinati sul letto di chi soffre, come dice l’etimologia del termine. L’invito che vi faccio, allora, è ad animare dall’interno i sistemi sanitari, perché nessuno venga abbandonato (cfr Messaggio per la XXXII Giornata Mondiale del Malato, 10 gennaio 2024). Il Vangelo, che ci insegna a non nascondere i nostri talenti ma a farli fruttare per il bene di tutti (cfr Mt 25,14-30), ci indica anche di avere, nel farlo, una via di predilezione nei confronti di chi, caduto, giace abbandonato sulla strada (cfr Lc 10,30-37). La lingua latina ha forgiato, in proposito, una parola bellissima: consolazione, con-solatio, che indica l’essere uniti «nella solitudine, che allora non è più solitudine» (Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 39). Ecco la via: essere uniti nella solitudine perché nessuno sia solo nel dolore. E lì c’entra la vicinanza, sempre.
Carissimi, tra voi vedo molte famiglie. Vorrei allora concludere ricordando a tutti l’importanza della famiglia, cellula della società. Essa è fondamentale per entrambe le vostre professioni. Anzitutto per i sacrifici che i vostri familiari condividono con voi, adattandosi agli orari e ai ritmi esigenti del vostro lavoro, che non è solo una professione, ma è un’“arte”, e dunque coinvolge tutta la persona e il suo ambiente. Poi per il sostegno che i vostri familiari vi danno nella fatica e spesso nella stessa attività. Custodite le vostre relazioni familiari, per favore: esse sono “medicina”, sia per i sani che per i malati. L’isolamento e l’individualismo, infatti, aprono le porte alla perdita della speranza, e questo fa ammalare l’anima, e spesso anche il corpo.
Allora, buon lavoro a tutti e la Madonna vi accompagni. Vi benedico di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
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