La nuova Commissione europea (Foto European Commission)

Gianni Borsa

Ottenuto il via libera dell’Europarlamento, la Commissione Ue, presieduta per un secondo quinquennio dalla popolare tedesca Ursula von der Leyen, è entrata in carica ufficialmente il 1° dicembre. In parallelo hanno cominciato il loro mandato Antonio Costa, socialista portoghese, come presidente del Consiglio europeo (è la riunione periodica dei 27 capi di Stato e di governo, massimo organismo politico dell’Ue), e Kaja Kallas, liberale estone, nuova Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune nonché vicepresidente della Commissione.
La votazione con la quale il Parlamento europeo ha dato fiducia al bis della Von der leyen è stata “di misura”: 370 sì, appena 9 in più della maggioranza (l’emiciclo è composto di 720 deputati). Eppure a luglio la stessa Von der Leyen aveva ottenuto per la propria nomina 401 voti.

Nel frattempo alcune sue scelte hanno rimescolato le carte della maggioranza.

I Verdi si sono defilati, alcuni Popolari e Socialdemocratici non hanno confermato la fiducia al Collegio (spesso per ragioni opposte), anche tra i Liberali ci sono state defezioni. Mentre una parte del sostegno alla nuova Commissione è giunta dai Conservatori (eurotiepidi, che a luglio avevano bocciato la stessa Von der Leyen), i quali hanno invece rilevato nel programma della Von der Leyen e nella composizione della sua squadra motivi sufficienti per votare a favore.
Tra gli elementi che hanno maggiormente influito – pro o contro – sul voto di fiducia è stato proprio l’allargamento a destra della maggioranza, fortemente voluto da Von der Leyen, tanto da affidare una vicepresidenza del Collegio all’italiano Raffaele Fitto, esponente dei Conservatori che tradizionalmente hanno una visione della costruzione europea ben diversa dai Popolari e soprattutto da Socialdemocratici, Liberali e Verdi.
Insomma, le carte in tavola sono cambiate. Diversi commentatori sostengono che Von der Leyen sarà più debole che nei cinque anni passati e maggiormente asservita al volere dei governi; altri, per converso, ritengono la presidente della Commissione più libera di agire, tenendo in pugno i suoi commissari e avendo maggiore autonomia rispetto all’Europarlamento.
Una cosa è certa: secondo i Trattati le istituzioni principali, che detengono il potere legislativo e di bilancio dell’Ue, sono Consiglio e Parlamento, mentre la Commissione ha altri ruoli (iniziativa legislativa, “custode dei Trattati”, motore quotidiano dell’Unione) che non possono prescindere dalle prime due istituzioni.

Von der Leyen se ne deve ricordare perché i nodi arriveranno presto al pettine:

bilancio comunitario pluriennale (Qfp), risposta alla guerra in Ucraina e forniture militari e finanziarie a Kiev (quando una vera iniziativa di pace targata Ue?), iniziative per la competitività economica e il rafforzamento del mercato unico (rapporti Draghi e Letta), rapporto con la nuova amministrazione Usa guidata da Trump, risposta al cambiamento climatico e Green Deal, gestione delle migrazioni, tutela della democrazia e dello stato di diritto in Europa…
Quando un’amministrazione entra in carica ci si domanda quali decisioni e proposte lancerà nei primi 100 giorni. Il numero è solo simbolico: resta da capire quali strade percorrerà la Commissione rispetto alle grandi questioni citate e se la sua azione sarà convintamente europeista (rafforzare la sovranità e la solidarietà europea in un contesto geopolitico carico di sfide) o meno. Qui si gioca il futuro stesso di una Unione coesa e aperta al mondo, dei suoi 27 Paesi membri e quello di 450 milioni di cittadini europei.

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