(Foto: Damiano Rosa)

Giovanna Pasqualin Traversa

Quel “chiasso” di Tor Vergata. “All’epoca del Giubileo del 2000 avevo 28 anni e mi professavo buddhista. Qualche anno prima avevo praticato un’interruzione di gravidanza volontaria e ne portavo le conseguenze: detestavo Giovanni Paolo II e Madre Teresa, la loro strenua difesa della vita contro l’aborto. Ero piena di pregiudizi nei confronti dei cattolici, disprezzavo chi andava in chiesa, non avevo la minima intenzione di partecipare, né all’apertura della Porta Santa né, tantomeno, alla Gmg in agosto a Tor Vergata”. È un fiume in piena Beatrice Fazi, attrice e conduttrice televisiva, raccontando al Sir il proprio percorso spirituale dal Giubileo del 2000 ad oggi e l’impegno a trasmettere speranza nella vita quotidiana, e quindi anche dal palcoscenico. Proprio a Tor Vergata, alla fine della veglia Giovanni Paolo II disse: “Questo ‘chiasso’ ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai”. E per Beatrice fu proprio così.

Un cortocircuito. “L’impatto di quell’evento – ricorda -, nonostante la mia arroganza, la mia superbia, la volontà di non avere niente a che fare con chi da tutto il mondo era venuto a Roma per partecipare alla Gmg, su di me fu fortissimo. Durante uno dei miei giri per Roma in moto con Pierpaolo, il mio attuale marito che avevo da poco conosciuto, mi capitò di incrociare per caso lo sguardo di uno dei Papa Boys a Roma per la Gmg.

Avvertii in me un cortocircuito: gli occhi di quel ragazzo mi trafissero e provai una santa – e per me sconosciuta – invidia:

mi punse l’anima il desiderio di avere la stessa gioia che leggevo nei suoi occhi e lì si aprì una breccia nel mio cuore. In un attimo ho visto con chiarezza che la libertà, l’autodeterminazione, l’emancipazione femminista che fino a quel momento avevano guidato le mie azioni portandomi anche a commettere degli errori, non mi avevano dato la felicità che stavo cercando”. Beatrice comprende di avere un grande vuoto dentro: “La certezza di poter essere felice autonomamente ha iniziato a vacillare ed è nato in me il desiderio di cercare una strada diversa, aprendo gradualmente il cuore all’ascolto della Parola di Dio”. Due anni dopo inizierà il cammino delle “Dieci parole” con don Fabio Rosini.

Ogni vita è preziosa. “Sono felice – prosegue – che Papa Francesco abbia scelto la speranza come tema di questo Giubileo perché proprio la speranza oggi vedo mancare, soprattutto nei giovani angosciati dal futuro: molti hanno paura di impegnarsi seriamente nelle relazioni, di formare una famiglia, di mettere al mondo figli. Sono stati, purtroppo, profondamente delusi da adulti che non hanno saputo essere responsabili nei loro confronti, e vivono in una sorta di ‘auto-sabotaggio’. Spero che questo Giubileo trasmetta loro speranza, a partire dalla certezza che non dobbiamo identificarci con gli errori che possiamo avere commesso, cha la misericordia del Signore è infinita. L’Anno Santo è un’occasione da cogliere al volo per voltare pagina, per poter credere in noi stessi e negli altri, per poter offrire il nostro contributo per migliorare la società e tornare a credere nella solidarietà e nella condivisione, prendendo forza gli uni dagli altri.

Speranza è credere che ogni vita è preziosa, che ognuno di noi può contribuire a fare più bello questo pianeta”.

Palcoscenico e speranza. Essendo credente, Beatrice avverte la grande responsabilità, “ancor più essendo un personaggio pubblico”, di impegnarsi “per vivere una vita esemplare nel senso che possa essere di esempio. Il mio lavoro di attrice mi offre molteplici occasioni di poter testimoniare i valori in cui credo. Quindi, aldilà di quello che io possa dire nelle interviste o quando vengo interpellata pubblicamente su qualche tema,

è importante che sia la mia vita, sul palcoscenico e non, a comunicare la speranza che ho nel cuore.

Che è anzitutto, per chi come me crede, la speranza-certezza nella vita eterna; per tutti la convinzione che valga la pena vivere credendo in valori fondanti: per me la solidarietà, la disponibilità verso gli altri, il servizio, il non rincorrere soltanto l’apparenza, l’autoaffermazione, il successo che può dare il mio mestiere”.“Nel mio lavoro quotidiano sono chiamata ad essere responsabile e rispettosa dei miei colleghi durante le prove, a mettermi in ascolto degli altri, a cercare di portare in scena commedie, sì brillanti e divertenti, ma che abbiano anche risvolti in grado di far riflettere su temi e aspetti importanti della vita. Una responsabilità che avverto anche nella scelta dei ruoli da interpretare”.Un’attrice si trova però a confrontarsi anche con personaggi distanti dalla sua visione di vita: “In questo caso tento di suscitare domande nel pubblico mettendo in luce gli aspetti negativi dei personaggi affinché gli spettatori possano sviluppare uno spirito critico sulle conseguenze delle loro azioni”. Così, ogni volta che porta in scena nelle scuole il suo monologo “Cinque donne del sud”, grande affresco al femminile che si snoda da fine Ottocento ai giorni nostri parlando anche di maternità, aborto, rapporto madre-figlia, emancipazione, femminismo, “si apre un dibattito per suscitare nei ragazzi una riflessione, affinché il loro pensiero sia libero da pregiudizi e da contrapposizioni ideologiche.

Cerco, anche attraverso il teatro, di operare scelte volte al bene”.

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