SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è tenuta sabato 22 ottobre presso la Chiesa Cattedrale della Marina, l’ordinazione diaconale di Luca Rammella e di Stefano Coccia.
Di seguito il testo dell’omelia del nostro Vescovo Gestori.

Carissimi,
la nostra Chiesa diocesana questa sera è in festa per due suoi figli, che al termine del cammino di formazione in Seminario ricevono il dono del ministero del Diaconato. Saluto tutti con vivo affetto e con intensa gioia. Saluto in particolare i due ordinandi, Guido e Luca, le loro famiglie, le Comunità di origine, S. Filippo Neri  e Gran Madre di Dio, e le Comunità dove hanno esercitato il loro servizio pastorale in questi anni. E ringrazio il Seminario Arcivescovile di Fermo per il prezioso accompagnamento svolto durante il periodo di formazione umana e spirituale.  
1. Il Vangelo appena proclamato ci parla di quello che veramente conta nella vita. Dalla bocca di un dottore della legge, persona preparata e ben introdotta nella vita dell’antico popolo di Dio, viene posta a Gesù una domanda apparentemente semplice e di facile risposta: “Maestro, qual è il più grande comandamento?”. E cioè, in altre parole si chiede al Signore: “Che cosa veramente conta nella vita? Che cosa si deve soprattutto fare?”.
In realtà, la domanda conteneva un trabocchetto, perché quel maestro del popolo ebreo voleva coinvolgere Gesù nelle polemiche e nei dibattiti, allora presenti, tra le varie scuole rabbiniche.
La risposta del Signore è chiara e si ricollega con quanto era stato scritto: Amare è ciò che veramente conta, amare Dio in maniera totale ed amare il prossimo come se stessi. Dicendo poi che l’amore del prossimo è simile all’amore di Dio Gesù vuole affermare che non si può amare Dio senza amare il prossimo e viceversa, ed inoltre vuole dire che prima dell’amore di beneficenza, prima del fare le opere di carità, conta l’amore di benevolenza, è importante volere bene. Infatti, Dio non ha bisogno della nostra beneficenza, ma domanda la nostra benevolenza, e quindi anche il prossimo va amato e poi va servito, evitando di fare del bene senza volere bene. Sappiamo infatti che si potrebbe fare del bene per superbia, per interesse, senza volere il bene dell’altro.
Dunque, nella vita ciò che veramente conta è amare, è volere il bene, e poi fare del bene. Amare è dimenticanza di sé, comporta l’attenzione all’altro, volere il suo bene, avere un atteggiamento di disinteresse. La persona, che sa agire in questo modo, ha compreso il senso profondo di tutta la Legge, ha assunto lo spirito autentico del Vangelo, è sulla strada della riuscita vera.
2.  Quello che vale per tutti i credenti, anzi, quello che vale per ogni persona a prescindere dal fatto di credere o di non credere, vale in maniera specialissima per chi intende mettersi al servizio della Chiesa con il ministero del diaconato. E’ noto infatti che il termine “diacono” significa “servo”.
Chi si assume questo incarico, chi riceve questo mandato, deve sentirsi chiamato a fare della propria vita un dono, dimenticando se stesso per pensare agli altri. Attenzione: occorre dimenticare noi stessi non quando vogliamo, quando ci fa comodo, quando sentiamo dentro di noi il peso dei fastidi che ci arrivano e la fatica dei problemi che dobbiamo affrontare. Questa sarebbe una dimenticanza di noi stessi tutto sommato molto comoda. Sarebbe una scelta pilatesca questa dimenticanza di noi stessi ed una fuga dalle nostre responsabilità. E’ la rinuncia al grave mestiere del vivere.
Occorre inoltre pensare agli altri non solo quando ci fa comodo e gli altri ci piacciono, quando pensare agli altri diventa curiosità, pettegolezzo, invadenza nella vita altrui, affermazione di noi stessi. Il pensare agli altri in senso evangelico è generalmente scomodo e costa.
Il diacono deve essere abilitato a vivere questo stile, non facile, non sempre gratificante, spesso esigente e quindi bisognoso di essere supportato dalla grazia del Signore e da tanta preghiera. Per amare secondo Gesù bisogna innanzitutto pregare, e chi vuole amare tanto, deve pregare molto. Non per nulla Madre Teresa di Calcutta voleva che le sue Suore dedicassero le prime quattro ore di ogni giorno alla preghiera: solo in seguito potevano sentirsi abilitate ad amare ed a servire per tutta la giornata.
3. Il 26 giugno di questo anno, in piazza Duomo a Milano, il Card. Tettamanzi ha dichiarato Beato un semplice prete ambrosiano, don Serafino Morazzone. Era stato curato per quasi cinquant’anni a Chiuso, piccolo paese vicino a Lecco, e morì nel 1822. Di lui scrisse Alessandro Manzoni nella prima stesura de I promessi sposi: “Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l’amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale; la cura continua di fare il suo dovere era: tutto il bene possibile; credeva egli sempre adunque di rimanere indietro, ed era profondamente umile, senza sapere di esserlo”. Il Card. Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, lo definì con queste parole: “La grandezza della piccolezza”. Questo ministro del Signore, dal giorno della sua ordinazione a quello della sua morte, aveva desiderato svolgere bene solo e soltanto il suo dovere di parroco in un paesino sul lago di Como, con poche centinaia di anime.
Di servitori come questo curato anche la Chiesa di oggi ha enormemente bisogno. Simili uomini di Dio anche la gente del nostro tempo sa comprendere immediatamente. Il punto sorgivo dell’apostolato e della sua efficacia non è l’apostolato stesso e la sua organizzazione, ma la presenza viva di Cristo, che suscita suoi imitatori e che edifica personalmente le Comunità cristiane. Conta volere bene a Dio, conta amare Gesù, per fare del bene al prossimo: la benevolenza è la radice della beneficenza, l’amore del Signore è la fonte della carità vera.
Carissimi Guido e Luca, qualche giorno fa abbiamo ricordato il grande vescovo S. Ignazio di Antiochia. Ci ha lasciato delle lettere, nelle quali esplode tutta la sua passione per il Signore: “Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: vieni al Padre”. I suoi scritti sono pieni di amore per i fedeli delle diverse Chiese dove arrivava, perchè la sua vita era tutta dedicata al Signore: “Ogni mio desiderio terreno è crocifisso”. “Lasciate che io raggiunga la pura luce, giunto là, sarò veramente un uomo”. (Lettera ai Romani). Si è veramente uomini solo quando si raggiunge il Signore, dopo avere dedicato a Lui tutta la propria vita.
Qui c’è un programma che non delude, che domanda persone capaci di amare, dedite totalmente al Signore ed alla sua santa Chiesa. Questo programma di vita è anche il segreto della vostra riuscita, come diaconi e come persone.
Carissimi Guido e Luca, vi auguriamo di cuore questa riuscita e vi accompagniamo con la nostra preghiera e con la mia benedizione.

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