DIOCESI – Pubblichiamo le parole del nostro Vescovo Gervasio Gestori pronunciate presso la Basilica Cattedrale Madonna della Marina, il primo novembre nella solennità di tutti i Santi.
“Chi sono i Santi?
La prima lettura dal libro dell’Apocalisse ci ricordava che essi sono tanti: “apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”. Dunque i santi non scarseggiano in Cielo, e quindi nemmeno sulla terra, dove ci si prepara, e provengono da ogni parte del mondo. Questo è già un motivo di grande conforto, di fronte ad ogni pessimismo, e conferma la mondialità della fede cristiana, contro ogni forma di razzismo. La santità è possibile anche oggi, in questo nostro tempo, e può essere vissuta non solo da qualche persona eccezionale, ma da tutti: basta dire di sì al Signore.
Ci ricordava inoltre che essi hanno vesti candide, lavate nel sangue dell’Agnello. La santità non è produzione propria, non è frutto di autogestione, ma si riceve da Cristo: la santità è un dono da accogliere con la propria personale disponibilità.
Se questo dono nell’Antico Testamento era visto come conseguenza di una separazione da tutto ciò che è male, ora, dopo il sacrificio del Signore sulla Croce, è invece frutto di una unione con il Signore. La seconda lettura ci ricordava che noi siamo figli di Dio, uniti a Cristo nostro fratello, il Santo dei santi.
Dunque, i santi sono quelle persone che hanno lasciato fare completamente al Signore, si sono messe nelle sue mani, si sono affidate totalmente a lui e si sono fidate di lui. Diceva recentemente papa Francesco: “E’ bello essere santi; ma è anche bello essere perdonati”. I santi sono i salvati, i pienamente salvati, i profondamente perdonati.
Essi sono beati.
Il Vangelo di Matteo ci parlava di beati. La beatitudine è la caratteristica della santità: i santi sono persone felici, sono persone riuscite, realizzate. E’ gente arrivata.
Per questo motivo, chi non è santo, non è beato, non vive felice, non si sente una persona riuscita, manca di realizzazione della propria vita. Aveva ragione lo scrittore francese Léon Bloy: “Non c’è che una tristezza al mondo, quella di non essere santi”. E quindi la santità diventa una necessità, se è vero che la felicità è per tutti una necessità. Quando Madre Teresa di Calcutta fu interrogata da un giornalista per conoscere che cosa provasse ad essere acclamata da tutto il mondo, rispose: “La santità non è un lusso, è una necessità”. E’ una necessità come l’ossigeno per il corpo, come la felicità per lo spirito.
Sorge allora la domanda: perché tante persone non cercano di essere santi, se questo modo di vivere è una necessità? Ci aiuta a rispondere l’esperienza personale di S. Agostino, che scrive nelle Confessioni: “Io ero certo che la felicità è in Dio. Eppure, (prima della conversione) era incapace di godere di questa felicità” (Conf VII, 20, 26). Sapeva, ma non riusciva a godere, perché correva dietro ad altri godimenti. Non godeva di Dio e della sua gioia, perché non era umile, e non sapeva abbracciare l’umile Gesù, non si lasciava amare da Lui.
Sono tristi i superbi, mentre gli umili, che si fidano del Signore, possono vivere felici. Agostino porta l’esempio evangelico di Zaccheo, questo capo degli esattori delle tasse a Gerico. Egli era piccolo di statura, cioè era umile. Quindi sale su un albero per vedere Gesù, mentre la folla superba in basso lo deride. Allora che cosa avviene? Dapprima è guardato del Signore che passa sotto, poi lui vede il Signore, scende dall’albero ed accoglie Gesù in casa sua, cioè nel suo cuore, che si riempie di gioia. La felicità gli arriva dall’essere cosciente della sua piccolezza, dal desiderio di gioia presente anche in lui, come in ogni persona, dalla volontà di salire su una pianta anche a costo di essere preso in giro, e dall’essere guardato dal Signore.
Che cosa ci insegnano i santi?
Oggi si parla molto nelle comunità cristiane di lectio divina, cioè di lettura piena di fede della Parola di Dio. Bene. Fate dunque la lectio divina, cioè, meditate la Parola di Dio. Ma c’è anche una lectio divina più concreta, che possono fare anche gli analfabeti, anche i semplici che non hanno tempo di pensare troppo e vogliono crescere nella fede: è la vita dei santi. L’attento sguardo alla vita dei santi aiuta a cogliere la presenza di Dio nella vita di persone all’esterno non diverse da noi e mette a contatto con esempi concreti di vita che si possono imitare, se c’è buona volontà. Non è forse vero che si rimane attratti quando puoi avvicinare una persona ricca di Dio?
Ecco allora che i santi sono anche soggetti che evangelizzano: essi per il solo fatto di esistere sono formidabili ed affascinanti annunciatori. I santi non hanno bisogno di parlare, basta che vivano e attirano come potenti calamite spirituali. Essi infatti provengono da quel laboratorio di inculturazione alla santità che è la grazia dello Spirito Santo, effusa nei sacramenti della Chiesa.
Ogni cultura può essere evangelizzata dalla santità, ogni persona deve accogliere il messaggio cristiano per essere salvata, ognuno di noi, anche il più lontano dalla fede, quando sperimenta la vicinanza di una persona santa, non può non rimanere attratto. Pensate a santi come P. Pio o il papa Giovanni Paolo II.
I santi dunque sono i più efficaci evangelizzatori, i più potenti trasmettitori del Vangelo, i migliori assistenti sociali degli spiriti umani, gli esempi più convincenti di conversione alla fede.
Ciascuno di noi non può rimanere freddo di fronte a loro. Quando passa un santo, la gente accorre, diceva il beato Card. Schuster, arcivescovo di Milano.
Ascoltiamo il loro richiamo. Imitiamo i loro esempi. Chiediamo la loro intercessione. E diventiamo santi anche noi.
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