Un bambino atteso, e morto prima di vedere la luce, non è “un grumo di materia”, ma un piccolo essere amato e cullato, anche se per poche settimane, nel corpo, nella mente e nel cuore. Un figlio che senti crescere in te, al quale parli e dai un nome, che abita i tuoi sogni più segreti e quando se ne va, all’improvviso e senza fare rumore, lascia un ricordo struggente. Un dolore che non è proporzionale alle sue settimane di vita e rimane per sempre, anche se negli anni diventa dolce e leggero come il peso di un bambino addormentato.
Ecco perché non è accettabile sentir liquidare come “brutto film, vecchio e clericale”, “ingerenza intollerabile”, “palese buffonata” l’approvazione della delibera della giunta Renzi volta a creare nel cimitero fiorentino di Trespiano un’area per la sepoltura dei bambini non nati, dei feti insomma. Eppure è quello che ha fatto sul suo blog, con una veemenza e un livore difficilmente comprensibili, Lidia Ravera, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili della Regione Lazio. È di ieri la notizia della lettera inviata da 50 realtà del Forum associazioni familiari del Lazio, che contano nell‘insieme 500mila aderenti, al presidente della Regione Nicola Zingaretti per chiedere le dimissioni della Ravera, le cui parole risultano offensive e incompatibili col ruolo istituzionale ricoperto. Una grave insensibilità nei confronti di chi ha perduto il proprio bambino e non si rassegna all’idea che venga smaltito come “rifiuto ospedaliero”, ma anche nei confronti di quelle donne di cui sembra volersi fare portavoce, quelle che per giovanissima età, paura, solitudine, povertà, il loro bambino hanno deciso di non tenerlo, e per le quali, secondo l’assessore della Regione Lazio, l’istituzione del “cimiterino” rappresenterebbe una forma di “sadismo di Stato”.
Ma come si può pensare a un intento di colpevolizzazione di chi probabilmente sarà già vittima di rimorsi che in molti casi sfociano in ciò che viene identificato come sindrome post abortiva? Si tratta piuttosto di un gesto di pietà e di rispetto, uno di qui gesti che dicono il grado di umanità, nel senso più vero del termine, di una società che pretende di essere civile.
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