“Domenica gaudete”, cioè domenica della gioia. Torna questa parola nella vita della Chiesa, più volte. È la gioia che Giovanni XXIII annuncia nel suo discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II: “Gaudet mater ecclesia”, cioè gioisce la Chiesa madre. È la gioia che Paolo VI propone nella sua esortazione “Gaudete in Domino”, unico Papa che dedica alla gioia un documento. Poi Giovanni Paolo I che la gioia la esprimeva anche nel suo modo di parlare, tanto da essere ricordato nei giorni della sua morte, dal quotidiano francese “Le monde”, come il Papa che ha vissuto “il tempo di un sorriso”. Gioia che ritroviamo in Papa Wojtyla, in Benedetto XVI, e in Francesco che al Vangelo della gioia dedica la sua prima esortazione apostolica post-sinodale, “Evangelii gaudium”. Nella liturgia torna più volte l’invito alla gioia, a “rallegrarsi perché il Signore è vicino”. Così in questa terza domenica di Avvento, il tempo dell’attesa, e non solo questo, è scandito dalla gioia, tanto che il Papa afferma, all’Angelus, che se “un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo. Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità”. Parole che Francesco pronuncia in una piazza san Pietro affollata, nonostante la pioggia, anche di ragazzi con i bambinelli del presepio.
Il messaggio cristiano, ricorda, “si chiama Evangelo, cioè ‘buona notizia’, un annuncio di gioia per tutto il popolo” e la Chiesa, ricorda Francesco, “non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia. Coloro che sono tristi trovano in essa la vera gioia”.
L’invito alla gioia è presente in tutte le Scritture e, nello stesso tempo, è invito a cogliere l’origine di questa gioia che accompagna il credente, e che Paolo evidenzia così: siate sempre lieti nel Signore, il Signore è vicino. Per Papa Francesco, “quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio”, che “è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore”. E spiega Francesco: “La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse. Il profeta Isaia esorta coloro che hanno smarrito la strada e sono nello sconforto a fare affidamento sulla fedeltà del Signore, perché la sua salvezza non tarderà a irrompere nella loro vita”. Leggiamo in Isaia: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa”, perché il Signore viene a salvarvi e “allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto…”. E continua Francesco: “Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli. La nostra gioia è Cristo, il suo amore fedele e inesauribile”. Per questo, afferma Papa Francesco, anche se sono grandi i nostri limiti e le nostre debolezze, i nostri smarrimenti, “non ci è consentito di essere fiacchi e vacillanti”. Al contrario, “siamo invitati a irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere, perché il nostro Dio mostra sempre la grandezza della sua misericordia”. Ci vuole bene, ci ama e, per questo, “è con noi per irrobustirci, per andare avanti. Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo, riaprire gli occhi, superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo”. Qui Francesco torna sul perdono, sulla misericordia di Dio, e ancora una volta costruisce un dialogo con un immaginario interlocutore: “Padre, io sono un gran peccatore, non posso ricominciare”. Sbagli, risponde: “Tu puoi ricominciare, lui ti aspetta, ti dà la forza per ricominciare. Superare la tristezza e intonare un canto nuovo”. Perché quella del Vangelo “è una gioia non superficiale che scende nel profondo della persona”. E proprio quel bambino che troviamo nella grotta “è nato per noi, per la salvezza e la gioia di tutti gli uomini”. Maria, conclude Papa Francesco, “ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. Una gioia intima, fatta di meraviglia e di tenerezza. Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare”.
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