Celebrare il Natale significa contemplare il fatto unico e decisivo di Dio che esce dal silenzio eterno e si mischia in modo definitivo con l’umanità. Lo aveva adombrato l’Antico Testamento, che verso la sua conclusione, aveva ormai intuito che la Parola in persona, dopo tante parole, stava per entrare nella storia degli uomini. “Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale” (Sap 18,14-15). L’incarnazione è stata la modalità attraverso cui Dio è sceso sulla terra per salvare gli uomini e condurli alla comunione piena e filiale con il Padre.
Se il Figlio di Dio ci ha salvati una volta per tutte dalla disobbedienza antica, l’uomo che vive nei vari tornanti della storia deve essere salvato in modo sempre nuovo. Il peccato, purtroppo, ha volti molteplici, ma la grazia portata da Cristo li smaschera e li sana in misura sovrabbondante. S’inserisce qui un rilievo fatto da Papa Francesco e che riguarda in modo particolare la comunicazione, cui nella Chiesa si è giustamente molto attenti.
È sotto gli occhi di tutti quanti progressi l’umanità abbia fatto, anche solo in questo ultimo decennio, nell’ambito delle comunicazioni, raggiungendo sviluppi inauditi. C’è, però, un rischio: quello che apparecchi sofisticati, da accendere e spegnere a comando, sostituiscano le relazioni interpersonali. Siamo divenuti tutti più vicini, perché facilmente raggiungibili, ma siamo anche maggiormente fratelli? Oppure si è divenuti più anonimi, nascosti sotto una falsa immagine o freddi e distaccati? Papa Francesco rileva che non sempre i mezzi di comunicazione permettono… una comunicazione degna del cristiano.
Occorre ritornare alla scelta dell’incarnazione: con essa il Figlio di Dio si è coinvolto interamente, non ha trattenuto nulla di sé, né ha demandato ad altri il compito di manifestare la tenerezza del Padre che lo aveva mandato. Ne consegue che “l’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (Evangelii gaudium, 88). Le relazioni non devono essere senza carne e, per questo, non possono venire demandate interamente ad apparecchi e sistemi e tanto meno, in senso più ampio, alle strutture.
L’ideale cristiano – continua ancora il Papa – inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi e tutti gli atteggiamenti difensivi e di controllo che il mondo attuale vorrebbe imporre. Se Dio si è compromesso così tanto con gli uomini, non si può fuggire dagli altri verso un comodo privato, verso il circolo ristretto dei più intimi. Fare così equivale a togliere al Natale tutto il suo realismo. Il Vangelo invita sempre a correre il rischio dell’incontro personale e non mediato da strumenti tecnici: questi possono servire per quello che sono. Un cristianesimo nella carne conduce a cercare il volto dell’altro, la sua mano, la sua presenza fisica, che interpella con il suo dolore, le sue richieste, ma anche con le sue speranze e la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo.
“Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene” (87), fa bene quella relazione che impegna personalmente con Dio e con gli altri. Per questo, bussare la porta dell’altro per fargli visita vale molto di più di qualunque altra forma di comunicazione che oggi ci siamo necessariamente inventati.
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