Di Nicola Salvagnin
Un anno di riforma Fornero sul mercato del lavoro, un anno di grandi propositi quasi tutti disattesi: questo il bilancio che emerge dal monitoraggio che ha eseguito lo stesso Ministero del Lavoro, appunto per capire quanto di ciò che era stato deciso nell’estate del 2012, sia stato realizzato nei dodici mesi successivi.
Poco, appunto. Se il leit motiv era quello di stabilizzare la precarietà, di spingere verso il contratto di lavoro a tempo indeterminato – considerato “contratto dominante”, il punto di riferimento -, ebbene: la realtà ha smentito i desiderata politici. Il contratto dominante è invece quello a termine: ha rappresentato quasi il 70 per cento di tutte le attivazioni di rapporti di lavoro. Ti contrattualizzo, ma per sei mesi, un anno. Poi si vedrà.
Appunto. Non si vede granché di positivo, visto che le trasformazioni dei rapporti da tempo determinato ad indeterminato sono state proprio pochine: nemmeno 5 ogni cento posti attivati. Poche e addirittura in calo rispetto all’anno precedente. Quindi il dato reale è andato in direzione esattamente opposta a quanto auspicato dalla riforma Fornero. E non c’è da stupirsi, siamo sprofondati dentro una crisi economica che i posti di lavoro li sta bruciando, e i pochi che crea, riflettono il senso di provvisorietà in cui vivono moltissime aziende.
Altri dati fanno riflettere: non sta funzionando l’apprendistato, lo strumento principe dell’avviamento al lavoro, o almeno dovrebbe esserlo. Ma è ormai ridotto al lumicino. In Germania è un cardine dell’avviamento al lavoro, qui una scelta che tocca nemmeno tre avviamenti su cento. Semplicemente, non funziona.
Positivo è invece il bilancio dell’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, nel senso che sta parando le spalle ad una serie di lavoratori che non godevano della protezione della cassa integrazione.
Per contro, l’allentamento dei diritti previsti dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non ha portato a quell’ondata di licenziamenti individuali che per più di un decennio si è paventata: anzi, questi sono in diminuzione. Era ed è un falso problema.
Il vero problema è e rimane quello di congiungere le due rive sulle quali stanno da una parte i “salvati” (i dipendenti a tempo indeterminato, sempre di meno), dall’altra i “sommersi” (i milioni di precari e precarizzati, sempre di più). La strada indicata dall’ex ministro Fornero – quella di spingere legislativamente i secondi verso la sicurezza dei primi -, non sta funzionando.
Forse bisognerà prendere in considerazione quella via di mezzo, delineata da alcuni giuslavoristi, detta delle “tutele progressive”. Un percorso di stabilizzazione che dia progressivamente più tutele, più diritti a chi inizia un percorso lavorativo, senza per questo spaventare le imprese che, tra tutto e niente, stanno quasi sempre scegliendo il niente. E ciò non va bene, appunto, per niente.

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