Di Luigi Crimella
Gli allarmi sono pressoché quotidiani, ma la gente rischia quasi di assuefarsi e di non cogliere la portata del fenomeno: parliamo della crescente diffusione di sale gioco, sale bingo, slot machine nei bar, tabaccherie, locali, e del crescente numero di giocatori che rischiano di cadere nella più recente delle “schiavitù” sociali: quella del gioco compulsivo o patologico.
Ebbene, per dire della gravità del fenomeno, a Milano si sono accorti che, una dopo l’altra, in viale Monza, che è una delle vie più popolate con grandi condomini, nello spazio di 1400 metri, tra il numero 9 e il 110 si sono installate ben sette sale con slot machine.
Hanno calcolato che ce ne è una ogni 15 condomini della zona.
Nel solo anno 2013 in città sono state rilasciate ben 159 licenze, col risultato che il capoluogo del nord Italia vanta una sala giochi ogni 8000 abitanti, una slot machine ogni 160. C’è chi parla di mercato ormai saturo, ma la domanda semmai è un’altra: coloro che investono in questo “business” a tinte un po’ misteriose sono forse stupidi? Se ci mettono decine di migliaia di euro nel rilevare locali sfitti, arredarli, montare insegne luminose molto accattivanti, stile Las Vegas, con nomi ammiccanti quali “Dolphins pearl”, “Lucky lady”, “Fortune” e così via, avranno pur fatto i loro calcoli, o no? Significa che i giocatori ci sono, anzi che tendono ad aumentare, se non si ferma la gara tra gli imprenditori del settore per accaparrarsi le sale. Quindi il fenomeno è ben chiaro, ha un forte impatto sociale e risvolti umani ben precisi: chi ci casca rischia di perdersi, di fare bancarotta, di entrare nel circuito diabolico di aver sempre più bisogno di soldi per giocare sempre più. È la “ludopatia”, malattia italiana di questi anni di crisi.
Ebbene, per dire della gravità del fenomeno, a Milano si sono accorti che, una dopo l’altra, in viale Monza, che è una delle vie più popolate con grandi condomini, nello spazio di 1400 metri, tra il numero 9 e il 110 si sono installate ben sette sale con slot machine.
Hanno calcolato che ce ne è una ogni 15 condomini della zona.
Nel solo anno 2013 in città sono state rilasciate ben 159 licenze, col risultato che il capoluogo del nord Italia vanta una sala giochi ogni 8000 abitanti, una slot machine ogni 160. C’è chi parla di mercato ormai saturo, ma la domanda semmai è un’altra: coloro che investono in questo “business” a tinte un po’ misteriose sono forse stupidi? Se ci mettono decine di migliaia di euro nel rilevare locali sfitti, arredarli, montare insegne luminose molto accattivanti, stile Las Vegas, con nomi ammiccanti quali “Dolphins pearl”, “Lucky lady”, “Fortune” e così via, avranno pur fatto i loro calcoli, o no? Significa che i giocatori ci sono, anzi che tendono ad aumentare, se non si ferma la gara tra gli imprenditori del settore per accaparrarsi le sale. Quindi il fenomeno è ben chiaro, ha un forte impatto sociale e risvolti umani ben precisi: chi ci casca rischia di perdersi, di fare bancarotta, di entrare nel circuito diabolico di aver sempre più bisogno di soldi per giocare sempre più. È la “ludopatia”, malattia italiana di questi anni di crisi.
Il “Manifesto” dei 505 sindaci. Ed ecco che, di fronte a questa situazione, i sindaci italiani lanciano l’allarme e in più di 500 (tre giorni fa erano 505) a nome dei loro Comuni firmano un “Manifesto per la legalità contro il gioco d’azzardo” oltre a promuovere una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che dia loro maggiori poteri di controllo sulle sale gioco e delle slot machine. Il movimento di sindaci e amministratori bypartisan è partito da Milano e sta animando grandi città e piccoli paesi di ogni regione, di fronte alla “piovra” delle macchinette mangiasoldi che ha ormai assunto un livello e un’organizzazione diffusa e capillare. I dati che preoccupano i primi cittadini sono noti: il gioco d’azzardo ormai raggiunge cifre astronomiche, con oltre 80 miliardi di giocate all’anno (4% del prodotto interno lordo nazionale) che significano 8 miliardi di tasse incassate dallo Stato e il resto spartito tra le società che gestiscono i giochi e le vincite distribuite agli scommettitori.
Per le famiglie è un vero e proprio salasso, perché queste giocate ammontano al 12% della spesa annua media: è come se ogni famiglia si giocasse tra i 1500 e i 2000 euro, cioè 150 euro al mese, una fetta consistente delle entrate, buttandoli nelle oltre 400mila “macchinette” o nelle sale bingo, oppure su lotto, superenalotto, winforlife e così via. Il bilancio che i sindaci tirano è che siamo di fronte a un dispendio di risorse elevatissimo, che riguarda 15 milioni di giocatori abituali dei quali 2 a rischio patologico e circa 800mila già entrati nella fase critica in cui non riescono più a stare senza giocare e dilapidano i risparmi familiari, coi relativi drammi.
Per le famiglie è un vero e proprio salasso, perché queste giocate ammontano al 12% della spesa annua media: è come se ogni famiglia si giocasse tra i 1500 e i 2000 euro, cioè 150 euro al mese, una fetta consistente delle entrate, buttandoli nelle oltre 400mila “macchinette” o nelle sale bingo, oppure su lotto, superenalotto, winforlife e così via. Il bilancio che i sindaci tirano è che siamo di fronte a un dispendio di risorse elevatissimo, che riguarda 15 milioni di giocatori abituali dei quali 2 a rischio patologico e circa 800mila già entrati nella fase critica in cui non riescono più a stare senza giocare e dilapidano i risparmi familiari, coi relativi drammi.
Fino al 9 aprile la raccolta firme per la legge di iniziativa popolare. Nel loro manifesto, i sindaci dicono, di fronte a questi rischi, “che non ci stanno e reagiscono”, chiedendo una nuova legge nazionale, fondata sulla riduzione dell’offerta e il contenimento dell’accesso, con un’adeguata informazione e un’attività di prevenzione e cura. In particolare chiedono che sia consentito il potere di ordinanza dei sindaci per definire l’orario di apertura delle sale gioco e per stabilire le distanze dai luoghi “sensibili” (scuole, chiese, oratori, ospedali, centri di aggregazione sportivi ecc.). Chiedono inoltre che sia concesso ai Comuni e alle autonomie locali di esprimere un parere preventivo e vincolante per l’installazione dei giochi. Per poter essere efficaci, si stanno già organizzando in “rete” e gli oltre 500 Comuni che hanno firmato di fatto costituiscono una prima rete nazionale di condivisione di esperienze e decisioni operative, spesso in accordo con le Asl, Prefetture, Questure e Dia per monitorare il gioco e individuare e curare i giocatori patologici. Tra i promotori di questo movimento di sindaci, c’è la casa editrice “Terre di mezzo” di Milano, insieme a Legaautonomie Lombardia. Tramite la loro “Scuola delle buone pratiche” proporranno, dal 28 al 30 marzo, nei padiglioni di Fieramilanocity, una serie di incontri e dibattiti, insieme alle ultime occasioni per poter firmare la legge di iniziativa popolare. Serviranno almeno 50mila firme che dovranno essere consegnate agli organi di governo per l’avvio della discussione parlamentare: il termine ultimo è il 9 aprile alle ore 11. I promotori contano di raggiungere e superare il limite delle 50mila firme e nel frattempo sottolineano i punti salienti della legge: dare ai sindaci il potere di intervento per prevenire il gioco patologico, vigilanza sui flussi economici che ruotano attorno alle sale gioco (società di gestione, proprietari, nomi), destinare l’1% del fatturato dei giochi alla cura dei malati e lo 0,50% ai Comuni per tali politiche sociali di contrasto e cura. Vedremo se e come una tale iniziativa di legge troverà sostegno e potrà crescere.
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