I numeri, si sa sono ballerini. Soprattutto i numeri “virtuali” o “digitali”, quelli cioè sul web, che nessuno può certificare materialmente. Eppure il cosiddetto referendum sull’indipendenza del Veneto, con oltre due milioni di contatti, rappresenta un’altra spia di un tempo contraddittorio e complicato di passaggio, da leggere sotto due punti di vista.
Nell’ottobre 1866, su 647.486 votanti, ci furono solo 60 voti contrari al plebiscito di annessione del Veneto (allargato all’odierno Friuli, senza la Venezia Giulia), che (come sei anni prima il Lombardo) era arrivato all’Italia retro ceduto dalla Francia, questa volta in relazione alla guerra austro-prussiana, cui l’Italia aveva dato un rocambolesco, ma importante contributo, pochi mesi prima. La Repubblica di Venezia aveva perso l’indipendenza già da molti decenni, prima ceduta all’Austria, poi parte del napoleonico regno d’Italia, poi dell’austriaco regno Lombardo-Veneto. Ma restano molti richiami, non ultimo il Leone di San Marco, che campeggia in un vasto cerchio della pianura padana centro-orientale, e poi in giro per il Mediterraneo orientale e poi su Palazzo Venezia, una straordinaria costruzione nel cuore di Roma, preda bellica italiana sull’Impero Austro-Ungarico allo scoppio della prima guerra mondiale di cui ci accingiamo a ricordare il centenario.
C’è insomma una storia, che anche quando è storia italiana va ben oltre i confini dell’Italia, che ci fa prendere consapevolezza che c’è un presente complicato in Europa, in cui il futuro, non meno complicato, mette in discussione assetti e certezze, con il combinato disposto della crisi e della mondializzazione. In questo processo i confini si moltiplicano e si riposizionano.
Così, non senza paradosso, da un lato i confini si superano, si aboliscono, dall’altra si cerca di moltiplicarli, seguendo la parabola di quella cosa ineffabile, ma fondamentale, che è l’identità. L’Unione Europea, questo grande contenitore con una forma istituzionale molto complicata e assolutamente nuova, rappresenta la grande cornice di questo inedito movimento. Nel quale l’Italia e le diverse Italie che la compongono sono inserite a pieno titolo.
Ecco allora la seconda considerazione: dopo più di vent’anni di strilli l’Italia non ha saputo fare i conti con la questione delle autonomie, ovvero il nesso di sussidiarietà e solidarietà, dunque di responsabilità. Stiamo abolendo le Province senza un disegno, le Regioni sono una voragine di sprechi, la riforma del titolo V, risultato dello sterile bipolarismo della cosiddetta seconda Repubblica, deve essere riformata al più presto.
Il sondaggio referendario del Veneto ci ammonisce insomma che bisogna trovare un punto di ripartenza. E fare sul serio.
Senza però certezze. Perché sarebbe necessario una sorta di lungo anno sabbatico per attuare i provvedimenti già decisi e mettere ordine nei conti. Ma la nevrosi politico-elettorale incalza e accelera, alimentando quello che sembra un circolo chiuso.
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