Di Stefano Costalli
L’Ucraina è ormai da alcuni mesi uno dei punti più caldi delle relazioni internazionali. A ben pensarci, c’è da stupirsi che la questione ucraina non sia giunta prima al centro del palcoscenico politico mondiale. Guardando la carta geografica risulta infatti subito evidente come quell’aerea incarni, anche visivamente, uno dei nodi irrisolti del sistema internazionale nato dalla fine della Guerra Fredda e tuttora in trasformazione. Si tratta dell’insoluto rapporto fra la Russia e le varie componenti dell’Occidente: Stati Uniti, Unione europea, Nato.
In seguito all’inasprirsi della posizione statunitense nei confronti della Russia e all’esclusione di quest’ultima dal G8, alcuni commentatori hanno comprensibilmente evocato il ritorno alla Guerra Fredda e allo stato di tensione permanente che contraddistingueva quel periodo. Eppure, è proprio la netta differenza rispetto a quella fase della politica internazionale che sta all’origine delle tensioni e dei pericoli sorti nelle ultime settimane. Prima del 1989, le due superpotenze e i loro alleati avevano perfettamente chiaro cosa fosse possibile fare e quali manovre politiche fossero invece assolutamente proibite, pena la messa in discussione dell’equilibrio globale. Oggi invece la situazione è strutturalmente diversa e i limiti per le azioni, gli interessi e le competenze delle maggiori potenze non sono più così chiari, talvolta neppure alle potenze stesse.
Nella prima fase del sistema internazionale post-bipolare alcuni nodi irrisolti e alcuni errori di valutazione erano tollerabili e non rischiavano di condurre a conseguenze irreparabili perché gli Stati Uniti erano emersi come l’unica vera potenza globale, in grado di intervenire e vincitrice nel confronto che aveva paralizzato il mondo per mezzo secolo. Dai primi anni Novanta però il sistema internazionale non ha mai fermato di trasformarsi e per quanto non abbia ancora raggiunto una sua fisionomia stabile, si sta muovendo progressivamente verso una pluralità di poli di potenza che reclamano un proprio ruolo e proprie sfere di influenza e di sicurezza.
In una situazione di questo tipo, le costrizioni strutturali – i limiti evidenti a tutti – vengono meno, le strategie possibili si moltiplicano e crescono sia il ruolo delle singole leadership politiche che le occasioni di rischiosa incomprensione. Il pensiero corre alla storia dei secoli in cui alcune grandi potenze si fronteggiavano per spartirsi le risorse mondiali e per garantire la propria sicurezza. In realtà, anche questo paragone non è del tutto calzante, poiché oggi la potenza distruttiva a disposizione degli attori principali è molto maggiore di quanto non fosse allora e l’avvento di regimi liberaldemocratici in molti paesi del mondo ha parzialmente mutato il rapporto fra politica e guerra. Tuttavia, la trattativa in corso fra Stati Uniti e Russia sul futuro dell’Ucraina, in cui si prospetta una “neutralizzazione” dello stato, che si trasformerebbe ufficialmente in cuscinetto fra l’Occidente e Mosca, è tanto saggia quanto improntata a logiche pienamente ottocentesche. Si chiarirebbe così uno dei punti interrogativi geopolitici ereditati dalla Guerra Fredda e si allontanerebbe lo spettro di una guerra, che dovrebbe essere la priorità per tutti.
Indipendentemente dall’esito delle trattative, resteranno però irrisolti due altri nodi. In primis, il problema del limite oltre il quale reagire qualora una grande potenza troppo “ottocentesca” decidesse di dare il via a campagne di annessione motivate con esigenze di sicurezza evidentemente pretestuose. In secondo luogo, resta da chiarire il ruolo dell’Ue. Se si trasformasse finalmente in una grande potenza diversa, capace di coinvolgere gli altri poli in legami fondati sulla costruzione di reciproca fiducia e non su logiche di potenza, l’importanza dell’altro nodo potrebbe ridursi. Il tempo però stringe e l’Europa non può più rimandare il proprio risveglio, in molti ambiti.
0 commenti