Di Fabio Mandato
In Italia sono 5 milioni i giudizi pendenti. Un carico che, secondo “il Sole 24 ore”, verrà smaltito solo in 25 anni. Gli strumenti della mediazione civile e del filtro in appello adottati negli ultimi mesi non hanno consentito finora al sistema giudiziario italiano di uscire dal collasso in cui si trova. Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci), ci ha fornito un quadro completo della situazione.
Venticinque anni di arretrato. Un debito generazionale, un peccato sociale?
“Si potrebbe anche aggiungere un disastro sociale, perché in tempi così lunghi il risultato reale che si ottiene è la negazione della giustizia, e questa è una cosa che nessuna società civile può permettersi, non solo per motivi funzionali, ma soprattutto ideali, perché ne va della stessa credibilità dell’amministrazione della giustizia, che è uno dei rami fondamentali dello Stato”.
Si può parlare di una giustizia negata?
“Si può dire qualcosa di ancora più grave, perché non è negata in maniera causale o proporzionale a tutti, ma è negata ai cittadini più deboli; quelli che appartengono alle classi sociali più tutelate o più in grado di autotutelarsi conoscono tecniche per abbreviare i tempi delle controversie giudiziarie che sfuggono ai cittadini comuni, sanno attivare arbitrati che portano alla soluzione delle controversie in tempi enormemente più brevi, o sanno come realizzare delle transazioni. Sono purtroppo i cittadini normali che vengono umiliati dalla lentezza della giustizia”.
Che benefici ha portato finora la mediazione? È stata ben spiegata ai cittadini?
“È troppo presto probabilmente per avere risposte rigorose, attendibili, basate sui fatti. Però l’opinione diffusa, anche se non è consolidata, è che la mediazione è un fallimento”.
Tra l’altro, rischia di avere un costo in più per il cittadino.
“Da quel che si dice nell’ambiente forense – quello che sto dicendo non si basa su indagini sociologico-giuridiche rigorose – la mediazione non sta ottenendo altro risultato, nella maggior parte dei casi, se non di allungare di un anno la soluzione delle controversie”.
Chi lavora più velocemente sono i giudici di pace. Però essi non hanno competenza nelle questioni personali, di stato. Non è una grande consolazione forse.
“Quando vennero istituiti i giudici di pace, mi auguravo che potessero essere chiamati sia dalla legge sia dall’opinione pubblica a giudicare secondo equità, quindi liberi da formalismi di procedura che stanno alla radice della lentezza del nostro sistema. In Italia non abbiamo avuto una grande tradizione dei giudizi di equità, ma per le cause di piccolo rilievo davanti ai giudici di pace si poteva attivare questa modalità. Purtroppo anche i giudizi si sono rapidamente burocratizzati e, per quanto si sia alleggerito il lavoro dei giudici togati, non c’è stata la grande svolta che era necessaria. Non dico che l’istituto è fallito, ma ha prodotto effetti minori rispetto a quanto si auspicasse”.
Una giustizia lenta non aiuta le piccole imprese.
“Gli economisti sono da tempo chiarissimi. Nessun Paese può attivare iniziative economiche e attirare capitali dall’estero se non garantisce agli imprenditori una giustizia rapida. La giustizia lenta è iniqua dal punto di vista dei principi di giustizia e dannosa dal punto di vista economico”.
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