Appartiene ai giovani il futuro dell’Europa. E non possono che essere loro a costruire quell’identità comune europea che ancora oggi pare mancare. Ai giovani è stata dedicata una sessione del convegno Fisc in corso a Gorizia su “Europa e confini”. In platea, oltre ai partecipanti giunti da ogni parte d’Italia, i giovani isontini, veri protagonisti della riflessione proposta.
Superare i confini. I confini, nell’Europa dei 28, non sono più quelli amministrativi dei singoli Stati, ma ce ne sono di “soggettivi che ancora oggi permangono”. Lo ha detto Daniele Del Bianco, direttore dell’Istituto di sociologia internazionale di Gorizia, parlando da un territorio che fino a dieci anni fa aveva una linea di demarcazione proprio in mezzo alla strada, che separava l’italiana Gorizia dalla slovena Nova Gorica. Una “terra di confine” che, nell’ultimo decennio, ha acquisito una nuova centralità se si guarda ai più ampi confini europei. Ma di Europa non basta parlare, bisogna viverla. “Per maturare davvero una coscienza europea è necessario aprirsi, andare sul posto”, ha richiamato Mateja Zorn del Getc Go, progetto di cooperazione transfrontaliera tra i comuni di Nova Gorica, Gorizia e Šempeter-Vrtojba. Ecco, quindi, che tornano in gioco i giovani, sempre più numerosi in viaggio da un Paese all’altro per motivi di studio (in primo luogo con il progetto Erasmus), oppure per svago.
Fare volontariato in Europa. Ma c’è anche un altro modo per costruire la “cittadinanza europea”. Si chiama “Erasmus+”, nome – forse fuorviante – del programma comunitario che rende possibile, per tutti i giovani tra i 17 e i 30 anni residenti in un Paese dell’Ue, il Servizio volontario europeo (Sve). “È un’esperienza fondamentale per la costruzione di un’Europa davvero unita”, sottolinea Mattia Vinzi di Europe Direct Trieste. Lui stesso cominciò a interessarsi di Europa nel 2001 nelle isole Azzorre, dove trascorse un periodo, grazie al Sve, in una cooperativa di recupero per tossicodipendenti. Il Servizio volontario europeo, racconta, “si propone di promuovere la solidarietà e la tolleranza tra i giovani, al fine di rafforzare la coesione sociale dell’Ue, ma anche favorire la comprensione reciproca tra giovani di diversi Paesi e promuovere la cittadinanza attiva dei giovani, in particolare quella europea”. Perché non è la stessa cosa parlare di Europa e “mangiare alla stessa tavola con coetanei di altri Paesi”. Un po’ come il servizio civile in Italia e l’esperienza dei “caschi bianchi”, anche il Servizio volontario europeo rappresenta “un’occasione formativa, di crescita, magari per ragazzi che non hanno mai fatto un’esperienza di vita fuori dalla famiglia di origine”. La durata va dai 2 ai 12 mesi e, chi vuole farlo, deve scegliere tra i progetti proposti dai diversi enti, ovviamente in un Paese diverso dal proprio.
Esperienza formativa. Sei mesi “in un istituto che faceva supporto a ragazzi e bambini con disabilità fisiche e mentali” è stata l’esperienza europea di Susanna Calcina, che dall’Italia è andata in Belgio, trovandosi a contatto con un’esperienza forte e una lingua totalmente sconosciuta, il fiammingo. MentreAndrea Moserini ha trascorso un semestre in Portogallo, prestando servizio in un’associazione studentesca. “Organizzavamo – spiega – attività culturali per studenti stranieri che si trovavano lì per l’Erasmus”. Andrea Vatovac, invece, è andato in Croazia, presso un’associazione per ex tossicodipendenti. “È stata un’esperienza entusiasmante – ricorda – al punto che, dagli otto mesi inizialmente previsti, mi sono fermato due anni”. E dopo questo periodo in Europa? “Il Servizio volontario non è un modo per dimenticarsi delle proprie radici, anzi. Diversi giovani – evidenzia Vinzi – non avevano mai fatto prima un’esperienza di volontariato, ma dopo essere tornati a casa si sono impegnati nel loro territorio”. Con una rinnovata attenzione e uno sguardo attento a ciò che li circonda, senza confini.
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