Si possono definire il più grande esercizio di democrazia che esista al mondo, le elezioni indiane, che si sviluppano in 9 tappe, così come ha deciso la Commissione elettorale. Finora ne sono state svolte 3. Nelle prime 2 tappe, hanno votato gli abitanti di 6 Stati del Nord-Est e si sono registrate importanti percentuali di affluenza alle urne. L’ultima, quella del 10 aprile, ha coinvolto 110 milioni di indiani, che vivono in 14 Stati e Territori dell’Unione: Chhattisgarh, Haryana, Jammu e Kashmir, Jharkhand, Kerala, Madhya pradesh, Maharashtra, Orissa, Uttar Pradesh, isole Andamane e Nicobare, Chandigarh, Lakshadweep, New Delhi e Bihar, dove poco prima dell’apertura dei seggi è esplosa una mina, nella foresta di Bhimbandh del distretto di Jamui, causando la morte di due soldati paramilitari indiani. L’attentato, opera di militanti maoisti, ha causato anche sei feriti. Per proteggere la sicurezza del voto nella “zona rossa” di cui fanno parte il Bihar e il Jharkhand, lo Stato centrale ha dispiegato 150mila soldati paramilitari.
Il voto della capitale. Particolarmente significativo sarà il risultato del voto espresso a New Delhi, dove il Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di centro-destra, che esprime le posizioni nazionaliste indù, dell’aspirante premier Narendra Modi, non ha mai conquistato un seggio. Gli altri competitori sono il Partito del Congresso di Sonia Gandhi, sconfitto alle elezioni per il governo della città, nel dicembre scorso e l’Aap, il Partito dell’uomo comune di Arvind Kejriwal, che secondo i bookmaker indiani, nonostante la sua popolarità a New Delhi, non otterrebbe più di 5-6 seggi su scala nazionale. Il Partito del Congresso, invece, a parere degli scommettitori, dovrà lasciare dopo 10 anni il governo del paese: infatti, nei sondaggi arranca ed è distante dal suo storico rivale, il Bjp. Entrambi, però, non sembrano in grado di raggiungere la maggioranza necessaria per conseguire la maggioranza parlamentare. Sull’esito del voto, avranno quindi grande rilevanza i partiti locali, radicati negli Stati, sempre più decisivi negli equilibri politici del grande Paese asiatico.
Le preoccupazione dei cristiani per il voto in Orissa. “I cristiani del Kandhamal sono preoccupati da chi vincerà queste elezioni, ma credono nella democrazia e nel potere del voto”, ha affermato ad Asia News mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, nel distretto di Kandhamal (Orissa). Per 11 anni (1998-2009) l’Orissa è stata governata dal Bjp, in alleanza con il Biju Janata Dal. Sotto la sua guida, nel 2008, nel distretto del Kandhamal, si sono consumati i più violenti pogrom anticristiani mai avvenuti in India, per mano dei gruppi fondamentalisti indù vicini al Bjp. “Questa comunità – ha aggiunto mons. Barwa – vuole una vita pacifica, fatta di uguaglianza e convivenza armoniosa, senza che qualcuno disturbi la quotidianità, il lavoro o la pratica religiosa. Per questo speriamo che il nuovo governo dia giustizia alle vittime della carneficina del 2008. La giustizia è un diritto di ogni persona, e per il miglioramento dello Stato e lo sviluppo di tutta la popolazione è giusto che tutti godano degli stessi diritti, privilegi e libertà, a prescindere da quale sia la comunità religiosa di maggioranza”.
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