Cristiana Dobner
Non è un rito scaramantico per placare divinità irate e costringerle a chinarsi sull’umanità con benevolenza. Non è commemorazione di tempi andati e di gesti che hanno segnato la storia e che vogliamo riproporre a modello per scuotere le coscienze. Quanto i cattolici vivono insieme al loro Pastore al Venerdì Santo è una memoria che porta in mezzo a loro e fra di loro il Signore Gesù martirizzato, sofferente, che sale il monte con la prospettiva più truce che si possa immaginare: lasciarsi inchiodare su di un infame patibolo ma in una realtà trasformata: “Amabile Gesù, salisti al Golgota senza esitare, compimento d’amore”.
Che senso ha lasciarsi coinvolgere? Per quale ragione riesumare una tragedia?
Indubbiamente non perché si guarda tutto con un ottimismo ingenuo: dal traguardo ottenuto, tutto risulta diverso. Certo, tanto risorge ed allora i conti tornano. Perché non tornano nell’aritmetica umana, solo nell’alchimia gratuita dell’amore fiorisce la misericordia salvifica.
Bisogna scendere nel profondo di una scelta: lasciarsi ammazzare quando poteva scamparla, Egli uomo giovane, forte. Oltretutto, poteva contare sull’intervento degli eserciti angelici che, con un soffio, avrebbero polverizzato le armate romane.
Ci troviamo dinanzi al segno misterioso, che ci parla solo nell’ottica della fede, e ci trasmette un amore illimitato, del tutto gratuito, di Colui che, assolutamente innocente, si è fatto assolutamente peccato per far gravitare su di sé ogni colpa e rendere il peccato scarlatto, bianco come la neve.
Un margine di inutilità questa vicenda lo dimostra, una sorta di fianco aperto alla critica: è stato inchiodato allora ma oggi?
Il Figlio dell’Uomo è morto secoli fa ma continua a morire in tutta la storia dell’umanità, in ogni storia di uomo e di donna che nasca al mondo. Un cammino scandito da Lui per noi, in questa Via Crucis che unisce Lui a noi e in cui noi ci consegniamo a Lui, con tutte le nostre dolorose miserie:
Condanna che lo scarica in tutti i sensi: EccoLo vicino, prossimo “La condanna di Gesù raccoglie così le facili accuse, i giudizi superficiali fra la gente, le insinuazioni e i preconcetti che chiudono il cuore e si fanno cultura razzista, di esclusione e di ‘scarto’, con le lettere anonime e le orribili calunnie. Accusati si è subito sbattuti in prima pagina; scagionati si finisce in ultima!”;
La Croce, legno pesante: “L’ingiustizia posta sulle spalle dei lavoratori”;
Egli, fragile, cade: “Accoglieremo fra noi la fragilità degli immigrati, perché trovino sicurezza e speranza”;
Sua Madre piange: “Mamme vigilanti con le lampade accese, trepidanti per i giovani travolti dalla precarietà o inghiottiti dalla droga o dall’alcool, specie il sabato notte!”; Simone di Cirene: “La mano amica che solleva”, dove sta la nostra? In tasca, ben protetta a contare il denaro?
Veronica: “Riesce a toccare il dolce Gesù”, quanti noi lasciamo morire di solitudine, privi di una presenza amica?
Gesù spogliato: “In Gesù, innocente, denudato e torturato, la dignità violata di tutti gli innocenti, specialmente dei piccoli”, dovremmo tremare per la vergogna;
Gesù abbandonato: “La malattia non chiede permesso, giunge sempre inattesa”, è una condanna oppure “scuola di sapienza, incontro con il Dio Paziente”?
Gesù ha sete: “La sete di tutti gli assetati di vita, di libertà, di giustizia”, a quanti neghiamo l’acqua?
Gesù è morto: “Pietà significa farsi prossimi dei fratelli che sono nel lutto e non si danno pace”, l’ineluttabile, quel momento che non si può cambiare, si è scolpito nella storia, nella vita, nostra o altrui?
Gesù sepolto: “La morte ci disarma, ci fa capire che siamo esposti ad un’esistenza terrena che ha un termine”, non rimaniamo però atterriti, non sprofondiamo nelle sabbie mobili, perché la Sua morte è la condizione della nostra vita.
Nel Suo dolore ha raccolto i dolori dei secoli passati e venturi. Morto infonde vita: nella bellezza del Suo Volto, roveto ardente, ha inciso tutti i volti, uno per uno. Per sempre.
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