Di Francesco Rossi
Tempi ridotti per tornare “single” e niente giudici. È la proposta bipartisan sul “divorzio breve”, approvata ieri dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati. Secondo quanto annunciato dal guardasigilli, Andrea Orlando, potrebbe bastare un accordo tra i coniugi, assistiti dai rispettivi avvocati, per sciogliere il matrimonio: così non si dovrà più comparire davanti a un giudice. Inoltre, il testo base del disegno di legge riduce da tre anni a uno il tempo di separazione necessario per chiedere il divorzio, che scende a nove mesi per le separazioni consensuali, se non ci sono figli minori. Sul tema il Sir ha interpellato Giancarlo Cerrelli, avvocato e vicepresidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci).
No ai giudici per divorziare: così si ovvierebbe al sovraccarico dei tribunali. Cosa ne pensa?
“La scomparsa della figura del giudice determina una banalizzazione del matrimonio e della famiglia. La separazione e il divorzio, in questo modo, diventano un affare unicamente privato, oltretutto senza una persona terza che verifica le condizioni della separazione. Ridurre le cause pendenti è una scusa: non si possono minare così le basi della famiglia”.
La parte più debole rischia di essere penalizzata?
“Certo. Potrebbe esserci il caso di un coniuge meno abbiente dell’altro, che non si può permettere un avvocato di grido in grado di competere con la controparte, con conseguenze inique. Non solo da cattolici, ma da persone di buona volontà non si può che essere sfavorevoli a misure del genere, che indeboliscono la società”.
Pensa che il “divorzio breve” abbia delle conseguenze sociali?
“Porta avanti una mentalità dell’irresponsabilità che non conviene a nessuno. Se la fine del vincolo diventa così banale – nei tempi e nei modi – il matrimonio finisce per avere poca rilevanza. Stiamo procedendo in una società liquida, irresponsabile, senza punti di riferimento e in questo modo viene a cadere anche la stabilità della famiglia. Questo provvedimento rientra in un progetto che fa capo a una ben chiara ideologia di depotenziamento dell’istituto familiare”.
Il codice civile prevede un “tentativo di riconciliazione” che spetta al giudice. Ma oggi avviene veramente? E domani cosa succederà?
“Molti giudici lo fanno in maniera seria, anche se con scarso esito, altri no. Di sicuro, dopo, l’avvocato avrà interesse a procedere con il divorzio…”.
Quali conseguenze potrà avere, invece, la riduzione del tempo di separazione per giungere al divorzio?
“Viene dato un segnale negativo, soprattutto ai giovani. Sembra quasi che sposarsi sia come ‘bere un bicchiere d’acqua’. Quando ci si stanca, bastano due avvocati per arrivare a un titolo esecutivo in breve tempo, oltretutto senza neppure passare da un giudice. Ricordiamoci che un tempo gli anni necessari erano 5, poi divenuti 3. La loro progressiva diminuzione tende a svilire l’importanza di quel patto stipulato di fronte a un ufficiale di stato civile”.
Diversi sostengono che non servono tempi lunghi: quando ci si separa l’esito prima o poi sarà comunque il divorzio…
“Non è vero che non servono. Danno la possibilità a chi si sposa di capire che, comunque, quello che sta per compiere è un passo impegnativo. Conosco persone che si sono separate dopo pochi mesi, o addirittura giorni. Ma il legame è comunque rimasto per i tre anni ora richiesti. Questa fretta di chiudere con il passato è dovuta alla liquidità di una società che si basa su emozioni, impulsi e desideri”.
Matrimoni che durano così poco – come quelli che ha citato – fanno riflettere sulla consapevolezza dei coniugi al momento delle nozze…
“Molto spesso vi è un’immaturità dei coniugi, proprio perché la società non porta a prendere sul serio le scelte che si fanno. Ma non perché vi sono degli errori si può banalizzare l’istituto matrimoniale”.
In parlamento vi è uno schieramento trasversale favorevole a tale riforma. Perché?
“È vero che pare esserci una maggioranza favorevole al depotenziamento della famiglia, ma è pure vero che non tutti i partiti sono favorevoli a questo ‘divorzio breve’. Tale schieramento mostra un avanzamento velocissimo della secolarizzazione e di una mentalità relativistica all’interno dei partiti, che non basano più la loro azione su ragioni etiche”.
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