Omelia del Vescovo, Messa del 1 Gennaio in Cattedrale.
Vescovo Gervasio Gestori: “Siamo all’inizio del nuovo anno ed è per me motivo di gioia poter rivolgere un cordialissimo saluto ed un sincero augurio a tutti voi qui presenti. In particolare desidero salutare e ringraziare le Autorità, che hanno voluto partecipare a questa Santa Messa in occasione della 45° Giornata Mondiale della Pace.
Per questa circostanza il Papa Benedetto XVI ha voluto mandare al mondo un suo Messaggio dal titolo significativo: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”, nella convinzione “che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza per il mondo”. Egli dichiara apertamente che l’essere attenti al mondo giovanile non è solamente un’opportunità, ma si presenta come un dovere primario di tutta la società, che voglia un futuro di giustizia e di pace.
Prendendo spunto dal testo del Papa, vorrei qui offrire qualche riflessione su questo argomento, che a tutti deve stare a cuore: il tema della giustizia e della pace e quello del futuro dei nostri giovani.
Occorre innanzitutto “comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene…e il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro” (n.1). Sappiamo che nei giovani questo desiderio di una vita, ricca di significato e di possibilità, è largamente sentito, anche se talvolta fatica ad esprimersi, perché il giovane teme di non essere ascoltato, oppure si manifesta in termini irritanti e provocatori.
Tre settimane fa una ragazza ha scritto al suo professore una lettera, pubblicata poi su un quotidiano: “Ho 15 anni e vedo il mondo andare a rotoli. Diamo la colpa ai politici, ai banchieri…Io sono sicura che la colpa invece è nostra. Ci arrabbiamo per cose futili, piuttosto che farlo per cose importanti…e ci riesce facile dare la colpa agli altri…Abbiamo pregiudizi, che ci avvelenano, ci distruggono. Quello di cui ho bisogno adesso forse sono parole di conforto, qualcuno che mi dica che andrà tutto bene e invece trovo soltanto persone che si rassegnano, che credono che la situazione potrà solo peggiorare…Io le mie speranze non le mollo. Lei cosa pensa che i giovani debbano fare per farsi valere?…siamo tanti, siamo arrabbiati, ci soffocano le grida in gola e nessuno ci ascolta: tanto siamo solo ragazzi” (Avvenire, 17 dicembre 2011).
Una lettera sincera, vera, un poco triste, che domanda aiuto, che accusa, condivisibile certamente da moltissimi adolescenti, che attende una risposta. Quella ragazza in fondo desidera un accompagnamento, rispettoso ed incoraggiante, e chiede che qualcuno si prenda a cuore il futuro dei giovani, che è poi anche il nostro.
Nel suo Messaggio il Papa parla dell’educazione come di una “avventura affascinante e difficile della vita. Educare…significa condurre fuori da se stessi per introdurre nella realtà…Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo…e quella del’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni…Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone” (n.2).
Occorrono educatori testimoni, occorrono persone che insegnino prima con quello che sono e poi con quello che dicono.
Questi adulti, chiamati ad educare, sono in primo luogo la famiglia e le istituzioni che hanno compiti educativi, i responsabili politici, che devono “aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative” (ib.), e poi il mondo dei media. Ma anche i giovani stessi: “abbiano la forza di fare un uso buono e consapevole della libertà. Anch’essi sono responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace!” (ib.).
A questo punto Benedetto XVI ricorda che la libertà è un valore prezioso e delicato, può venire fraintesa ed essere usata male. Un ostacolo oggi particolarmente insidioso al buon uso della libertà è il cosiddetto “relativismo, che non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio io. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione” (n.3).
E aggiunge: “Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere” (ib.).
Conclude il Papa appellandosi al Vangelo: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5,6).Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato” (n.4). Sì, è vero: chi vive in pace con se stesso, vive in pace anche con gli altri, mentre chi non è in pace con se stesso, con la propria coscienza e con Dio, vive male anche con gli altri. Occorre incominciare da se stessi per costruire la pace.
Quel professore allora rispose alla quindicenne, che gli aveva scritto da arrabbiata, proprio in questi termini: “Rimbocchiamoci le maniche tu e io: ci saranno due furbi in meno. Forse non risolveremo molto, e forse ci prenderanno anche in giro, ma almeno ci potremo guardare allo specchio, sereni”. Due furbi in meno, due operatori di pace in più. E se altri si aggiungessero, la realtà potrebbe cambiare.
Mi sembra di poter raccogliere dal denso Messaggio del Santo Padre almeno due conclusioni.
La prima è rivolta direttamente ai giovani: “Voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà enon abbandonatevi a false soluzioni…Non abbiate paura di impegnarvi…Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo. Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti” (n.6). Quanto è forte e come ci interpella il Papa nel dire questo! Fa appello ai giovani perché in qualche modo educhino gli adulti. Lasciamoci dunque stimolare da loro ed impariamo anche da loro, dai giovani, ad essere migliori.
La seconda conclusione si rivolge al mondo ormai globalizzato, in questi tempi particolarmente provato da molte tribolazioni: “Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso. E’ vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia… Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno. In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista” (n.1). L’uomo di fede attende il Signore, più che le sentinelle l’aurora (Salmo 130).
Sì, all’inizio di questo anno nuovo non lasciamoci catturare dai molti problemi che abbiamo e dal pessimismo che ci potrebbe intristire. Rinnoviamo la nostra fede nel Signore, che ci è Padre, e diamo vigore alla nostra speranza per avere la forza di attendere sempre l’aurora. Essa arriva ogni giorno come possibilità di impegno nella vita personale e comunitaria con slancio generoso e per i grande e alti ideali, umani e cristiani.
Anche all’aurora di questo nuovo anno abbiamo la consolante certezza che Dio non abbandona mai i suoi figli”.
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