Assisi

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Quando mi proposero l’intervista non capivo esattamente il fine logico di approfondire il percorso di fede di un ateo.

Mi sembrava come puntare il dito su quelli che da sempre erano stati i miei dilemmi ricorrenti.
Credi in Dio? Partecipi alla messa? Ammetto che di primo approccio non avevo dato alla cosa il peso immane che poi avrebbe avuto nel mio intero percorso di essere umano, prima ancora che di cristiano. Il motivo principale per il quale avevo accettato di rispondere alle domande era sostanzialmente una distinta crasi tra l’attrattiva intellettuale che sentivo verso la persona che me la stava chiedendo e la tanto attesa “scusa” per fermarmi a riflettere con qualcuno sulle cause della mia smarrita spiritualità. Quella che da anni chiamavo ironicamente “spiritualità”, stava per avere una netta definizione nel mio io. E stavo per averla anch’io.

Dopo l’intervista iniziai a parlare molto spesso con questa ragazza e iniziammo a frequentarci.
Sentivo una rinnovata positività in me.
Era come prendere per mano il buio delle chiusure per scoprire l’effettiva luce delle cose. La persona che ero mi stava legando alle fondamenta e questo non mi lasciava libero di correre.
Rimuginavo sulle scelte sbagliate, sulle difficoltà familiari, sulla convinzione ferma che non esistessero dei sentimenti puri e privi di interesse. Nel mentre, la presenza di questa ragazza mi diceva l’opposto.
Vedevo nei suoi occhi il fervore della fede, la gioia della speranza.
Ricordo che rimasi colpito dai suoi racconti, dai trascorsi di salute che aveva avuto e dai quali aveva tratto una rinnovata fede cristiana. Vederla sorridere mi dava molta pace e iniziai a fidarmi di un’estranea molto presto rispetto a quello che era il mio naturale diffidare.
Così decisi che per contraccambiare i suoi innumerevoli sorrisi e le parole di appoggio in quei giorni per me un tantino complicati, l’avrei accompagnata in chiesa.
Sentivo un desiderio personale di riavvicinamento già da tempo, ma rientrare in chiesa da solo sarebbe stato come affrontare il primo giorno di scuola senza compagni.
Avevo bisogno di affidarmi ad una persona che riuscissi a “sentire” a pelle, la quale a sua volta mi avrebbe aiutato ad affidarmi a Dio.
Con il tempo, continuando a frequentare questa ragazza ed andando alla Messa ogni domenica con lei, sentii il desiderio di iniziare un percorso di fede vero e proprio. Lei mi consigliò di rivolgermi a “qualcuno di competente”. Cosi, mi accompagnò dai frati di Monteprandone.
La prima volta che incontrai il frate, sentivo una voglia immensa di parlare. La volontà era quella di essere psicanalizzato in chiave prettamente religiosa.
Ciò che mi trovai davanti fu invece la più totale naturalezza.
Vidi nella figura del frate un essere umano scarico di ogni sentenza o accusa.
Quello che in sostanza mi fece recepire è che la fede è una scelta. Dio va scelto. Alla fine, come in ogni forma di amore profondo, bisogna avere fiducia.

Una domenica, alla fine di una Messa, al momento degli avvisi, il prete disse che da li a poco sarebbe iniziata la via crucis in preparazione alla Pasqua.
Chiesi a lei di andare. Mi appoggiò.
Ho sempre amato prender parte alla via crucis, fin da piccolo.
Resto rapito da questa fase della vita di Gesù.
La totale umiltà e remissione alla volontà divina da parte di colui che tutto avrebbe potuto. In questa fase della sua vita c’è l’essenza della fede, a mio avviso.
Accettare la morte come dono di liberazione e non come la fine di tutto. Nella mia lunga fase di abbandono della spiritualità, la cosa che più feriva era la perdita della vita eterna, il credere nella non esistenza di un’anima e alla morte fisica come fine assoluta di un’esistenza. Tornare a fare quest’esperienza insieme ad una persona che nonostante la giovane età è “tornata a vivere” ha reso e sta rendendo meno ripida la strada verso il ritorno alla fede.
Ho compreso che troppo spesso avevo esasperato le mie difficoltà scegliendo da solo di essere infelice.
Il giorno di Pasqua, per altro, credo di aver vissuto l’esperienza più significativa e toccante del mio percorso. Come a coronamento di un cammino, che poi è quello che dovrebbe essere la Pasqua per ogni cristiano.
Abbiamo scelto Assisi come meta per un week end. All’arrivo, ovviamente, la mia curiosità verso l’arte e l’immenso patrimonio che Assisi possiede da questo punto di vista, mi ha spinto ad arrivare con la curiosità del turista “indaffarato”. Ciò che mi sono ritrovato nella “valigia” al ritorno è stato molto più che un souvenir. Dopo 20 anni ho di nuovo preso L’Eucaristia, in un momento di passaggio molto importante per me, dall’abbandono all’appartenenza. Ecco, credo sia questo il succo in breve di tutto il mio percorso. Dall’abbandono all’appartenenza. Ritrovarsi non vuol dire solamente ritrovare se stessi, ritrovare la funzione domenicale, ritrovare una fede.
Ritrovarsi significa soprattutto sentirsi parte di una comunità. Mi rendo conto che il mio è un percorso ancora da compiere e molto “giovane” in questo senso, ma dentro di me ho smesso di sentirmi solo, ho smesso di sentirmi vuoto.
Per questo, dopo diversi mesi, la mia vita è profondamente cambiata.
La vita è un percorso e come tale va visto.

Il cambiamento è una costante e sono certo che continuerà. La cosa che davvero è cambiata è il modo in cui mi pongo di fronte al cambiamento e alla vita stessa. Ho scoperto che è bellissimo sentirsi parte di qualcosa, essere al mondo per un progetto “più alto”. La materialità, il continuo muoversi verso il futile… tutto questo è fortemente limitativo.
Riguardo al mio futuro,quello che davvero vorrei fare, è continuare a vedere il bello delle cose e il lato colorato della vita.
Spero che l’amore profondo che mi lega a questa ragazza possa crescere assieme al mio percorso di fede e che gli ostacoli si tramutino sempre in spunti di crescita.
Mi auguro davvero che tutti coloro che vagano in cerca di risposte comprendano che a volte, la mancanza di risposte sta semplicemente nell’erroneità delle domande.

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