Di Patrick H. Daly
Nelle prossime elezioni europee verranno selezionati dei parlamentari che usufruiranno di un mandato di cinque anni. Nei nostri tempi di rapide evoluzioni, in cinque anni può succedere di tutto. L’elettore ha anche il diritto di aspettarsi che molti risultati possano essere raggiunti. Tuttavia, il ritmo impresso dagli eventi in Ucraina non è che l’ennesimo esempio di quanto velocemente gli scenari politici e la percezione delle priorità possano essere alterati, a volte in maniera del tutto sorprendente.
Dal punto di vista delle priorità, è importante riconoscere che queste elezioni imminenti assumono un significato completamente diverso, a seconda della parte dell’Europa in cui ci si trova.
In Belgio, per esempio, dove il voto è obbligatorio e l’atto di non votare è punito dalla legge, fiamminghi e valloni si troveranno a votare per elezioni regionali, nazionali ed europee, e ci si può legittimamente chiedere sulla base di quali elementi effettueranno la loro scelta i cittadini, a ogni livello. Sulla base della politica estera del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) o dell’accesso a scuole e servizi medici nelle “strutture” municipali bilingue di Bruxelles? Nel Regno Unito, viceversa, se i sondaggi elettorali, i venditori ambulanti di giornali e i titoli dei tabloid devono essere considerati indicatori affidabili, il 22 maggio – gli inglesi sono i primi a votare – costituirà una verifica finale in vista delle elezioni politiche del 2015, con il partito euroscettico e indipendentista Ukip pronto a erodere i voti del partito di governo (i Conservatori).
Non è affatto chiaro in quanti dei 28 Stati membri dell’Ue le tematiche dell’Europa condizioneranno le scelte degli elettori. Né si può dare per scontato che i cittadini siano in grado di valutare quali siano i poteri propri conferiti al Parlamento europeo né quali aree d’indirizzi politici rientrino nelle competenze dell’Ue.
La dichiarazione emessa il 20 marzo dai vescovi della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), che ancora gode di un notevole livello di supporto attivo, anche al di là dei commenti giornalistici e dei soliti sospetti, si concentra molto chiaramente su questioni che meritano di essere prese sul serio in tutto il continente. Attingendo alla loro vasta e sostenuta esperienza pastorale, all’odore delle pecore affidate alle loro cure (per prendere in prestito l’espressione utilizzata da Papa Francesco nei suoi consigli ai vescovi), i vescovi della Comece hanno dimostrato quanto chiaramente percepiscono i problemi che riguardano le persone e che hanno delle conseguenze pratiche nella loro vita, in qualunque parte dell’Ue vivano.
Nessuno può negare fino a che punto la crisi bancaria del 2007/8 abbia spinto la nave dell’Ue fuori rotta. Il grande problema dell’Europa continua a essere la forte ricaduta sociale della crisi: un numero crescente di persone vittime della povertà, i nuovi poveri, i giovani disoccupati, alla cui difficile condizione la Comece e, proprio di recente, il Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) hanno dedicato dei convegni. Altre questioni che vengono affrontate dalla Dichiarazione dei vescovi sono le migrazioni, il giorno settimanale comune di riposo (domenica), la libertà di religione: tutte questioni che riguardano il benessere generale.
Quello che risulta essenziale il 22-25 maggio è che i nostri cittadini esprimano il proprio voto credendo nel futuro del processo europeo e con il desiderio di contribuire al suo successo.
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