Gianni Borsa – Sir Europa (Bruxelles)
 
EUROPA – La “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, scritta nel 1950 all’indomani dell’ultima tragedia bellica mondiale, è un Trattato internazionale sottoscritto dai 47 Stati membri del Consiglio d’Europa: sul rispetto e l’applicazione dei diritti contenuti nella carta vigila la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La Convenzione (sigla Cedu) meriterebbe di essere insegnata nelle scuole, discussa nelle aule universitarie, riletta di tanto in tanto dai cittadini europei, dai politici, dai magistrati, dai giornalisti. Conferma e sancisce, fra l’altro, il diritto alla vita, la proibizione della tortura o del lavoro forzato, il diritto alla libertà personale, quello a un processo equo, il rispetto della vita familiare, la libertà di espressione.
L’articolo 9 della Cedu si riferisce in particolare alla “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione” e recita al punto 1: “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”. Al punto 2 invece si legge: “La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”.
Sta tutto qui il diritto di vivere in piena libertà la propria religione – ogni fede religiosa, purché rispettosa degli altri diritti dell’uomo – a casa propria, nella sacrestia di una chiesa, entro le mura di una sinagoga o di una moschea, così come quello di manifestare il proprio credo in una piazza, su un vagone ferroviario, al ristorante o sul posto di lavoro. La fede che non contrasta con la libertà e i diritti altrui, che – si potrebbe aggiungere – è orientata al bene dell’uomo e al bene comune, che è vissuta nel rispetto pieno e totale di chi ci sta accanto, non può essere – questo attesta la Convenzione – né limitata, né mortificata, né perseguita.
Il caso aperto presso la Corte di Strasburgo da quattro cittadini britannici che ricorrono contro lo Stato (Nadia Eweida, Shirley Chaplin, Lilian Ladele, Gary Mc Farlane), pur presentando situazioni e fattispecie diverse, va letto in questa ottica. I quattro cristiani praticanti si sono sentiti lesi nel loro diritto di manifestare una religione che non contrasta con la legge del Regno Unito, che non mira a ledere i diritti altrui, che è parte del patrimonio storico e culturale inglese, e che è orientata – per dirla in breve – alla “promozione umana”. I ricorrenti si sono sentiti discriminati (in due casi si è giunti al licenziamento) nei rispettivi posti di lavoro e impossibilitati a manifestare, in forme diverse, l’essere fedeli cristiani.
La prima udienza presso la Corte, svoltasi il 4 settembre (ora si prevede un lungo iter processuale), ha suscitato però forti perplessità. Soprattutto quando, sentito dalla Corte, il legale del governo inglese, James Eadie, ha affermato in relazione a due dei casi in esame che il divieto di esibire segni religiosi (una catenina con una croce) non impedisce di praticare la propria religione in privato, e che comunque un lavoratore è libero di cambiare posto nel caso volesse manifestare esplicitamente la propria fede. Una posizione, questa, che appare come una lettura distorta e riduttiva dei diritti e delle libertà fondamentali (fra questi il diritto al lavoro) garantite propria dalla Convenzione.
La questione non è nuova. Se ne è già avuta eco in vari dibattiti e processi in sede nazionale ed europea. Restano due punti essenziali sui quali occorre chiarezza. Anzitutto in una società moderna e democratica – dunque, come si vorrebbe, in tutta Europa – le espressioni del credo religioso devono essere garantite ovunque (in privato e in pubblico) e a ciascuno (di qualunque fede); naturalmente – secondo punto – le espressioni del credo religioso non devono contrastare con altri diritti fondamentali, relativi ad esempio alla libertà e dignità altrui, alla sicurezza, alla salute. “Ovvietà”, si potrebbe obiettare, ma in un mondo globale e sempre più complesso, tali diritti e libertà possono essere garantiti solo con equilibrio e rispetto reciproco, oltre che con leggi chiare. Emergono così rilievi di carattere legislativo e giuridico, etico, educativo, che non possono essere sottovalutati e che non mancheranno di ritornare a galla sia a proposito del ricorso dei cittadini britannici contro Londra, sia, prevedibilmente, in un numero di casi crescente. Sarà dunque doveroso tenere puntato il timone verso la difesa dei diritti fondamentali, compreso quello, essenziale, di credo religioso, già troppe volte calpestato in Europa e nel mondo.

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