Di Nicola Salvagnin
Se il livello del Pil misura lo stato di salute di un’economia, allora l’Italia non è guarita: ha ancora qualche linea di febbre. Le (ottimistiche) previsioni indicavano la fine della recessione che, con modi più o meno pesanti, ci affligge dal 2008. Non è così, non è ancora così.
Il Pil è lievemente in discesa, e forse anche il 2014 si chiuderà in recessione, con un calo del Pil di mezzo punto. Chi vede il bicchiere mezzo vuoto, segnalerà che l’economia italiana è la più lenta tra quelle dei Paesi occidentali a riprendersi; chi lo valuterà mezzo pieno, dirà anzitutto che la recessione è in fortissimo rallentamento, ma soprattutto che la malattia stenta a scomparire semplicemente perché non è stata usata la droga che ha dopato le altre (Irlanda, Spagna, Grecia…): una grande iniezione di spesa pubblica, insomma l’allargamento dei cordoni della borsa.
Non l’abbiamo fatto non perché siamo virtuosi e morigerati, ma semplicemente perché un debito pubblico che ha toccato il nuovo record di 2.120 miliardi di euro – e con l’impegno di abbatterlo dal 2015 in poi – non ci lasciava alcun margine di manovra in proposito.
Pazienza, ci vuole pazienza. La cura del malato-Italia è fatta di riforme, di cambiamenti: per troppi anni siamo stati a guardare gli allori che ci cullavano, e a sperperare i soldi che ci prestavano. Ma non esiste alcuna riforma che produca i suoi effetti positivi nello spazio di un amen: riformare la macchina pubblica, cambiare la giustizia, dare impulso alle assunzioni, restituire un po’ di soldi (e di fiducia) agli italiani sono tutte cose che faranno fiorire rose, ma non subito, non oggi.
Altre “riforme” – quella previdenziale e le tante manovrine di questi tre anni – erano in realtà tagli della spesa e nuova tassazione. Entrambe le cose hanno portato con sé dei pro, ma anche poderosi contro. L’inasprimento della tassazione ha aiutato a congelare l’economia e a togliere risorse dalle tasche degli italiani; la dinamica ora è praticamente esaurita, nuove risorse si potranno trovare solo dal recupero dell’evasione. E l’allungamento dell’età pensionabile ha sì salvato i conti di Inps e Stato, ma ha anche posticipato l’uscita dal lavoro di centinaia di migliaia di italiani. Bloccando l’immissione nel mondo del lavoro di moltissimi giovani.
Quindi non esiste né cura istantanea, né uno stregone che possa risolvere tutto con una magia. Ma almeno le condizioni buone per fare bene ci sono: lo spread è sotto controllo, i conti pubblici pure, le fibrillazioni politiche dovrebbero chetarsi dopo le elezioni europee, la voglia di riemergere sembra prendere fiato rispetto alla paura di cadere o di non farcela.
Altra condizione positiva, assai importante per rilanciare l’economia: le banche stanno facendo una radicale pulizia dei propri conti, ricapitalizzandosi e concentrandosi di più sui tradizionali business. L’erogazione del credito dovrebbe quindi sbloccarsi, anche perché non si fanno utili se non si impiegano le risorse. E tutti, ma proprio tutti hanno assoluta necessità di passare dal colore rosso in fondo ai bilanci, ad un più rilassante e fiducioso nero. Ma non perdiamo costanza e pazienza, se non vogliamo perdere anche il resto.
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