Di Stefano Costalli

Non solo l’Unione europea è stata chiamata alle urne lo scorso fine settimana. L’Ucraina, o almeno ciò che ne rimane, votava per eleggere il nuovo presidente. Petro Poroshenko, magnate dei dolciumi, ha vinto la competizione al primo turno ottenendo oltre il 55% dei consensi. Si tratta certamente di un passo positivo, dopo la cacciata di Yanukovitch a febbraio, l’insediamento di un governo ad interim sostenuto dalla piazza, ma non legittimato da un voto popolare, e soprattutto dopo l’intervento russo in Crimea e lo scoppio di un vero e proprio conflitto, seppure per ora a bassa intensità, nella regione orientale del Paese.
Finalmente il nuovo corso dell’Ucraina può contare su una figura di riferimento sostenuta da un chiaro consenso popolare, espresso attraverso regolari elezioni. Poroshenko è dotato di alcune caratteristiche che potrebbero farne una figura preziosa in questa fase delicata della politica ucraina. È un politico navigato, già ministro degli Esteri e del Commercio, prima con Julia Tymoshenko e poi con Yanukovitch, ha preso subito le distanze da quest’ultimo schierandosi su una linea europeista, ma allo stesso tempo non è entrato a far parte del governo provvisorio e dichiara di voler cercare un accordo negoziato con la Russia. Il nuovo presidente fa indiscutibilmente parte dell’oligarchia ucraina e detiene importanti interessi economici in Russia, ma finora non è mai stato coinvolto in grosse inchieste di corruzione e a causa delle sue recenti scelte politiche ha subito il congelamento di conti correnti da parte delle autorità russe, oltre che la chiusura di alcuni magazzini della sua impresa. Si tratta dunque di una figura che sembra avere le carte in regola per svolgere un ruolo di mediatore e per provare a ricucire fratture ormai molto gravi.
Tuttavia, la strada verso la soluzione della crisi ucraina resta difficile, non mancano i rischi e i problemi concreti. Il primo rischio è proprio legato all’ambivalenza del neo-presidente, che potrebbe trasformarsi in ambiguità e nascondere interessi e modi di operare meno innovativi di quanto ci si aspetta. Oltre a questo rischio, esistono poi problemi gravi e concreti, primo fra tutti il conflitto armato ormai deflagrato nella regione orientale, autoproclamatasi indipendente e nella quale le milizie filo-russe hanno impedito lo svolgimento delle elezioni presidenziali. Proprio nelle ore successive all’elezione di Poroshenko si è svolta una cruenta battaglia con decine di morti fra l’esercito di Kiev e le milizie locali per il controllo dell’aeroporto di Donetsk. Pur non rinunciando a proclamare la volontà di tenere l’Ucraina unita, il nuovo presidente ha dichiarato di voler cercare una soluzione negoziata che coinvolga anche la Russia. È certamente una posizione saggia, ma com’è accaduto in altri conflitti a carattere etnico e separatista, l’annuncio di voler trovare una soluzione concordata, e dunque implicitamente di cercare un accordo che riconosca parte degli interessi dei due contendenti, nel breve termine può condurre a una recrudescenza dei combattimenti, nel tentativo reciproco di condurre i negoziati da una posizione di forza.
Un secondo problema rilevante è dato dagli scarsi poteri che la ripristinata Costituzione del 2004 conferisce al presidente della Repubblica, se confrontati con quelli di Yanukovitch. Poroshenko dovrà cercare di favorire una stabile maggioranza parlamentare e un governo solido, altrimenti l’Ucraina difficilmente riuscirà ad affrontare le ardue sfide che l’aspettano. L’alternativa sarebbe eleggere un nuovo parlamento, ma significherebbe un altro stallo nel processo.
Il terzo problema di Poroshenko è l’Europa. A Est l’interlocutore è chiaro, ma a Ovest molto meno, soprattutto in questo momento. Servirà tempo per rinnovare i vertici delle istituzioni europee, e purtroppo non è detto che la nuova Ue sia più interessata all’Ucraina della gestione Barroso-Van Rompuy-Ashton.

 

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