Di Luigi Crimella
Famiglia, lavoro, migrazioni: tre luoghi da abitare, secondo le indicazioni di Papa Francesco in occasione della recente assemblea generale dei vescovi dello scorso 19 maggio. E anche da comunicare, come è nelle intenzioni del Copercom (Coordinamento delle associazioni per la comunicazione,www.copercom.it) che a questo tema ha dedicato il suo secondo incontro annuale. Famiglia, lavoro, migrazioni sono tre realtà a cui prestare una particolare attenzione “e mai come oggi – ha spiegato il presidente del Copercom, Domenico Delle Foglie – appare urgente e significativo rafforzare la sintonia tra il lavoro delle associazioni che fanno comunicazione e la Chiesa italiana cui il Papa, nella recente assemblea generale, ha dato uno specifico e preciso mandato”. Perché famiglia-lavoro-migrazioni? Rivolgendosi ai vescovi Papa Francesco era stato molto chiaro: questi tre “luoghi” – aveva detto – richiedono una presenza della Chiesa che sia “significativa” e “accogliente”. Della famiglia aveva rilevato che oggi essa è “penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio”. Sul lavoro aveva parlato di “sala d’attesa affollata di disoccupati”. Sui migranti aveva detto di “calare una scialuppa come abbraccio accogliente”.
Parole evocative per una comunicazione nuova e diretta. Per entrare nelle piste che il Papa ha tracciato per l’episcopato italiano, il Copercom ha invitato due relatori: un vescovo e un giornalista. Il primo, monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, ha sviluppato un ampio ragionamento di tipo pastorale sul senso della comunicazione nella Chiesa, partendo dal concetto che “comunicare è un’arte di Dio, perché Dio si è comunicato all’uomo”. Da ciò discendono tutta una serie di considerazioni sulla comunicazione ecclesiale, ad intra e ad extra, cioè verso il proprio popolo dei fedeli e anche verso l’esterno, verso coloro che non credono o che sono lontani. In questo compito, oggi necessario in quella che viene definita la “società della comunicazione”, “la presenza di Papa Francesco – ha detto – è stata molto stimolante perché egli si è presentato sin da subito come un maestro della comunicazione”. Ha così sottolineato non solo lo stile personale, le originalità del linguaggio e dei gesti, ma anche la scelta di parole molto evocative e che giungono al cuore: “pastore”, “odore delle pecore”, “sala d’aspetto affollata di disoccupati”, “scialuppa” per i migranti, per dirne alcune. I comunicatori cattolici – ha proseguito mons. Bregantini – dovrebbero poter dire quanto il Papa ha detto di sé, cioè: “Io ‘sono’ una missione, non ‘faccio’ una missione. Per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione”. E poi il discorso delle “periferie”, che rischia di essere considerato ripetitivo ma che va invece approfondito: “i destini del mondo maturano nelle periferie”, ha ricordato, “e abbiamo il dovere di conoscere i meccanismi che le generano e di intervenire per correggere la ‘logica dello scarto’ per cui molti sono esclusi dal sistema, come inutili”.
La “franchezza” prossima frontiera della comunicazione. Anche il giornalista e scrittore Marco Politi, da anni attento osservatore delle cose di Chiesa su testate laiche, ha rilevato un aspetto positivo: “Il mondo cattolico oggi è l’unico spazio diffuso in cui si fanno analisi e riflessioni su testi ed eventi. Non esistono più centri laici o partiti in cui questa pratica sistematica di riflessione venga svolta. Questa è una ricchezza che va giocata – ha sottolineato – tenendo conto che l’apologetica è totalmente superata, specialmente nel mondo giovanile”. Ha poi rimarcato un altro indubbio vantaggio per le realtà cattoliche: “Quando si ha un protagonista eccellente come Papa Francesco, può essere un punto di riferimento. Ha introdotto uno stile di comunicazione chiaro, senza difesa di principi astratti, ma collocandosi in un cammino insieme agli uomini e donne del nostro tempo. Parla non solo ai credenti ed è attraente anche agli agnostici e atei”. Politi ha anche posto domande su temi sensibili quali la comunione ai divorziati risposati, le coppie omosessuali, la fecondazione assistita, la tratta dei migranti o a fini sessuali. Su queste realtà, a suo avviso, occorrerebbe che le voci cattoliche intervenissero maggiormente. Secondo il giornalista ci vorrebbero in campo cattolico maggiore “coraggio” e capacità di “confronto aperto” tra le diverse visioni. È lo stesso Papa a chiederlo a tutta la Chiesa, vuole che si parli “apertamente”, che si “dicano le cose in faccia” – lo ha ricordato anche mons. Bregantini – perché così si progredisce nel dialogo con sincerità e capacità di costruire. Questa della “franchezza” è forse la prossima frontiera della comunicazione cattolica. Senza paura, col desiderio di servire la verità.
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