Di Daniele Rocchi
Archiviata, almeno si spera, la guerra civile con i Fratelli musulmani e i loro sostenitori, l’Egitto si incammina nel suo nuovo corso che vede come timoniere il neo presidente della Repubblica, l’ex comandante in capo delle forze armate egiziane Abdel Fattah el Sisi. Certo, non mancano i timori per i gruppi estremisti islamici ma si alimenta la speranza di rinascita economica, sociale e politica del Paese così che possa tornare ad essere un attore importante della scena internazionale e soprattutto regionale alla luce delle crisi in Siria, e ora in Iraq, e dell’annoso conflitto israelo-palestinese. “Gli echi delle vicende siriane e irachene qui, almeno per il momento, non sembrano arrivare” spiega padre Jean-Jacques Pérennés, direttore dell’Ideo, l’Istituto domenicano di studi orientali, il centro di ricerca sull’Islam creato al Cairo nel 1953, su iniziativa della Santa Sede, per favorire il dialogo culturale tra cristiani e musulmani. “Tuttavia le preoccupazioni non mancano. In Egitto abbiamo accolto circa 150mila profughi siriani e seguiamo con grande apprensione quanto sta avvenendo in Siria e Iraq”. Da 15 anni in Egitto, padre Pérennés, a Sarajevo per partecipare all’XI Comitato scientifico della Fondazione internazionale Oasis dedicato a “Tentazione della violenza. Religioni tra guerra e riconciliazione”, fa il punto sulla situazione in Egitto.
Come giudica l’attuale fase politica che sta attraversando l’Egitto?
“Credo che l’Egitto stia davvero vivendo una rivoluzione dopo circa 60 anni vissuti sotto un sistema militare, dal 1954 con Nasser al 2011 con Mubarak, con effetti forti sulla società e con il potere conservato grazie al partito unico, alla corruzione e alla polizia. Tutto questo è stato rifiutato dalla società civile e la caduta di Mubarak ha segnato l’avvio di un processo molto interessante che richiede tempo e che non è possibile giudicare dopo tre anni. Solo adesso il popolo sta imparando a conoscere il significato di cittadinanza. In passato nessuno andava a votare, ora vanno in milioni. Prima non si scioperava, ora sì. L’Egitto ha fatto l’esperienza della libertà”.
A ben guardare, in questo percorso, potrebbe sembrare un passo falso il voto dato ai Fratelli Musulmani del deposto presidente Morsi?
“Dopo il sogno di cambiamento di piazza Tahrir, il popolo ha votato la Fratellanza musulmana, un partito religioso, poiché la dimensione religiosa è un aspetto determinante dell’identità egiziana e mediorientale in generale. Un anno dopo, però, lo stesso popolo lo ha rovesciato con proteste di piazza cui ha partecipato molta più gente di quella che decretò la caduta di Mubarak. Il presidente Sisi arriva dopo tre anni in cui il Paese è rimasto bloccato, gli investimenti fermi, la disoccupazione cresciuta, il turismo in caduta. Il mio auspicio è che Sisi comprenda che gli egiziani non vogliono tornare ai regimi passati”.
In che modo la nuova Costituzione potrà garantire stabilità e rispetto dei diritti?
“La nuova Costituzione mostra alcuni progressi rispetto al passato, anche se in Occidente si è parlato soprattutto dei privilegi che garantirebbe ai militari. La cosa più importante, a mio parere, è che la religione, con il nuovo testo approvato, ha meno peso nella vita politica. Questo è un bene”.
Cosa rappresenta il nuovo Egitto nello scacchiere turbolento del Medio Oriente? “L’Egitto ha un ruolo chiave nella regione. Un Egitto stabile è un elemento di equilibrio per tutto il Medio Oriente. Non è coinvolto negli scontri in atto in Siria e Iraq tra sunniti e sciiti e anche per questo è un Paese strategico nell’assetto geopolitico dell’area. E’ un fattore di sicurezza anche per Israele e tutti sappiamo quanto questo sia determinante per la politica Usa nella regione. Per questo ritengo che l’aiuto della comunità internazionale all’Egitto sia importante e necessario”.
Qual è il ruolo della componente cristiana in questo nuovo corso egiziano?
“La rivoluzione e la piazza hanno avuto il merito di unire un po’ di più musulmani e cristiani. Ricordo quando in piazza Tahrir musulmani e cristiani si proteggevano a vicenda durante le rispettive preghiere. Nonostante ciò, dopo la deposizione del presidente Morsi, i sostenitori dei Fratelli Musulmani si sono accaniti contro i cristiani bruciando chiese, case, negozi e auto. La paura è rimasta ma questa non deve alimentare una mentalità da ghetto, tipica delle minoranze (i cristiani sono circa il 10% della popolazione, ndr). Da questo punto di vista i cristiani sono chiamati ad un lavoro piuttosto duro ma non impossibile. Il nuovo papa copto ortodosso, Tawadros, è una personalità molto aperta e potrà favorire questo cambiamento. Il resto lo farà il grande impegno che i cristiani mettono nel campo dell’educazione alla convivenza e dell’istruzione. Nelle scuole cattoliche del Cairo ci sono circa 50mila alunni cristiani che con i loro compagni musulmani imparano, ogni giorno, a convivere. I cristiani hanno la missione di insegnare a vivere bene insieme”.
0 commenti