profughi SaharaDi Davide Maggiore

“Le violazioni dei diritti umani nel Sahara Occidentale non sono qualcosa che appartiene alla Storia, ma all’oggi”. Santiago Canton, direttore del dipartimento di “advocacy” del centro Robert Fitzgerald Kennedy per la Giustizia e i Diritti Umani, riassume così la situazione dell’ex colonia spagnola in Africa Occidentale. Un territorio rimasto fuori dalle cronache, ma anche – in qualche modo – dalla Storia: la decolonizzazione, infatti, non è stata mai completata e agli spagnoli è subentrato dal 1976 il regno del Marocco, rivendicando “diritti storici” sulla regione. Il referendum sull’autodeterminazione che avrebbe dovuto svolgersi, con il monitoraggio dell’Onu, dopo la firma del cessate il fuoco tra il Marocco e il movimento di liberazione sahrawi (fronte Polisario), è stato rinviato più volte dal 1991. La situazione precaria dei diritti umani è stata sottolineata da organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch. Solo tra settembre 2013 e febbraio 2014, elenca Santiago Canton, sono state segnalate “torture, arresti arbitrari, violazioni della libertà di espressione e l’uccisone del diciottenne Rashid Al-Mamoun, colpito dalle forze di sicurezza mentre manifestava chiedendo la liberazione dei prigionieri politici”.
Dibattito sul mandato Onu. Da parte sua, il governo marocchino parla di “strumentalizzazione dei diritti dell’uomo” da parte degli attivisti locali e delle ong internazionali, ma la questione è arrivata anche all’Onu. Negli scorsi mesi il Segretario generale, Ban Ki-moon, ha fatto appello a un monitoraggio “sostenuto, indipendente e imparziale”. Le Nazioni Unite sono presenti sul campo con una missione di poco più di 200 uomini (Minurso): gli attivisti sahrawi chiedono che sia questa ad occuparsi del problema, denunciando “un’anomalia” rispetto a situazioni simili. Nonostante il mandato sia rinnovato ogni 12 mesi, spiega infatti Fatima Mahfoud, che è tra i rappresentanti del fronte Polisario in Italia, “i cambiamenti nei compiti della Minurso non sono sufficienti, perché la missione non ha ancora il compito di vigilare sul rispetto dei diritti umani”. Il Marocco rivendica di aver previsto, con la riforma costituzionale del 2011, una maggior tutela dei “diritti culturali” delle minoranze, ma si oppone al cambiamento delle regole della missione internazionale. Al momento dell’ultimo rinnovo l’ambasciatore marocchino all’Onu, Omar Hillale, aveva detto che le modifiche proposte avrebbero messo “in pericolo l’intero processo” di pace e “in questione la stessa presenza della Minurso”. “Lo scopo delle Nazioni Unite è la ricerca della pace, e tutte le altre missioni di pace hanno competenza sui diritti umani”, sottolinea però Santiago Canton.
Nodi umanitari e politici. L’esperto del centro Robert Kennedy affronta anche la situazione dei campi profughi di Tindouf, dove sono rifugiati circa 165mila sahrawi, chiedendo alle stesse Nazioni Unite “una maggiore attenzione” a queste strutture, in funzione da oltre 30 anni. Secondo dati diffusi ad aprile dall’alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), i giovani sono ormai il 60% della popolazione e vivono in una sorta di “limbo”, con “limitate possibilità di sfruttare la loro educazione e le loro capacità”. Tindouf è anche al centro di questioni politiche: qui, infatti, risiede la leadership del Polisario in esilio, che è stata riconosciuta come rappresentante della Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) dall’Unione africana (Ua). Una decisione che ha portato il Marocco ad abbandonare l’organizzazione continentale (che allora si chiamava Organizzazione per l’Unità africana) nel 1984. Questa decisione, ha recentemente ribadito il ministro degli Esteri di Rabat, Mbarka Bouaida, potrebbe essere ribaltata solo con il congelamento dell’adesione della Rasd. A Tindouf guardano, per ragioni opposte, anche i sahrawi, che all’Onu hanno chiesto il blocco dello sfruttamento delle risorse naturali della ragione (potenzialmente ricca di giacimenti di petrolio e gas offshore) da parte del Marocco. “Le risorse che sono già in via di sfruttamento – soprattutto pesce e fosfati – nei territori non autonomi devono avere un impatto sulla vita di chi vi abita”, ma anche su quella di coloro che hanno dovuto abbandonare il Sahara Occidentale per rifugiarsi nei campi, sostiene Fatima Mahfoud, ricordando tra l’altro come l’Unione europea abbia tuttora un accordo sulla pesca con le autorità marocchine.

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