da New York, Damiano Beltrami
Scalcinati centri benessere le cui insegne dicono “massaggi”. Locali promossi come lounge chic. Saune ambigue. La rete di persone sfruttate avvolge gli Stati Uniti da est a ovest. Si va dalla Chinatown di New York ai sobborghi di Chicago, dai bordelli legali del Nevada ai night di Las Vegas, passando per tante stanzette di motel perse nelle Grandi Pianure centrali. Sono per lo più giovani donne a rimanere impigliate in questa rete. Cinesi, tailandesi, centroamericane e sudamericane. In prima linea nella battaglia per i diritti e la dignità umana c’è da tempo la Chiesa americana. “Sono oltre 40 le organizzazioni cattoliche che hanno programmi di assistenza per le vittime dello sfruttamento”, spiega Larry Snyder, presidente di Catholic Charities Usa. “E nei vari Stati molti cattolici sono alla guida di task-force incaricate di promuovere cambiamenti nella legislazione a livello statale per rendere il traffico di persone un crimine sempre meno frequente”.
Conferenza episcopale in prima linea. Catholic Charities Usa è tra le associazioni chiave che fanno parte della Coalizione di organizzazioni cattoliche impegnate contro la tratta di esseri umani. Coordinato dalla Conferenza episcopale Usa, il lavoro ormai decennale della Coalizione comprende l’assistenza alle vittime e una forte azione di sensibilizzazione a livello statale e federale. Un paio di mesi fa Nathalie Lummert, direttrice dei programmi speciali del Dipartimento migrazione e rifugiati presso la Conferenza episcopale Usa, lo ha ricordato in un discorso al Congresso. “Attraverso la sua capillare opera negli Stati Uniti e a livello internazionale – ha affermato – la Chiesa è da sempre in prima linea per tradizione e vocazione nella lotta contro la piaga del traffico”. Lummert ha anche posto l’accento sulla dottrina sociale cristiana, la presenza globale (articolata in parrocchie, diocesi, agenzie) e le risorse materiali che la comunità cristiana mette a disposizione. “Se è vero che oggi il nostro impegno è in partnership con il governo degli Stati Uniti e altri governi di tutto il mondo”, ha continuato Lummert nell’intervento al Congresso, “lavoreremmo su questo fronte a prescindere, in virtù della gravità morale della questione e della sofferenza che il traffico di persone causa”. Il che riecheggia quanto detto a più riprese da Papa Francesco, il quale ha indicato la tratta di esseri umani come “una ferita aperta sul corpo della società contemporanea”.
Nuova legislazione. L’impegno “sul campo” è notevole e vede impegnati sacerdoti, suore, laici, tanti giovani: si va dagli interventi sul piano economico alla vera e propria liberazione dalla schiavitù della prostituzione; accade di denunciare imprenditori che sfruttano il lavoro minorile oppure si interviene con una vicinanza, un vero e proprio “farsi prossimo” sul piano umano e psicologico; talvolta si prova a ricomporre famiglie, per restituire una vita “normale” a chi è finito ai margini della città. Tanto lavoro sta cominciando a dare frutti, anche a livello legislativo. Sanzioni più forti per gli orchestratori della tratta delle nuove schiave e tutele maggiori per le vittime sono passaggi chiave della nuova normativa firmata il 22 aprile scorso dal governatore dell’Arizona Jan Brewer per combattere il traffico di esseri umani. Benché la Chiesa americana sia stata spesso critica sulla legislazione molto restrittiva in materia di immigrazione approvata recentemente in Arizona, questo specifico provvedimento è stato accolto positivamente dalla diocesi di Phoenix e in particolare da Catholic Charities Community Services, un’associazione cattolica che da anni si spende per alleviare le sofferenze delle vittime di questo racket. Tamara Hartman, direttrice del gruppo e parte di una task-force statale per rendere le leggi in materia più efficaci si dice soddisfatta: “La normativa va nella direzione che da anni abbiamo indicato”.
Non solo immigrati. Il Dipartimento americano definisce la tratta di persone come l’atto di reclutare, nascondere e trasportare esseri umani per sfruttarli, con la frode, l’inganno e la coercizione, spesso costringendoli a praticare atti sessuali. Il Dipartimento di Stato stima – “per difetto”, riconosce – che ben 27 milioni di persone nel mondo ne siano vittima. E non sono solo prostitute. Ci sono persone sfruttate per il lavoro nero, per eseguire lavori domestici, agricoli o nell’ambito della pesca commerciale o delle costruzioni, per citare solo alcuni settori in cui l’abuso è all’ordine del giorno. Il traffico alimenta anche gli eserciti della malavita, lo spaccio della droga, il “mercato” degli organi… In molti l’hanno definita la “schiavitù moderna”. Per distruggere psicologicamente le loro vittime i trafficanti non usano catene, ma l’arma della paura. Negli Stati Uniti questa piaga riguarda sia le città sia le comunità rurali. E, ha spiegato Lummert, il fenomeno “non riguarda solo gli immigrati”. La task-force dell’Arizona, per esempio, ha scoperto che la maggior parte degli sfruttatori e delle vittime dello sfruttamento in quello Stato non sono migranti, bensì cittadini americani. Detto questo, gli immigrati costituiscono negli Stati Uniti e nel mondo un gruppo particolarmente vulnerabile in fatto di traffico di persone, disponendo in genere di minori tutele sociali e legali ed essendo maggiormente esposti alla povertà materiale, alla solitudine o alla marginale sociale.
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