Il 1934 fu l’anno caldo nel quale Adolf Hitler perfezionò la conquista del potere in Germania. Il 29 giugno, nella famigerata “notte dei lunghi coltelli” fece brutalmente assassinare i nemici interni ed esterni, da duecento a mille persone che riteneva ostacolassero i suoi disegni. In luglio ordinò l’omicidio del cancelliere austriaco Engelbert Dolfuss, strenuo oppositore dell’idea di annessione del suo Paese al Reich. Ad agosto moriva il presidente Paul von Hindenburg e Hitler immediatamente si autonominò “Fuehrer”, capo dello Stato e cancelliere. Cominciava la politica dei campi di concentramento, che ben presto ospitarono un milione di tedeschi; e dopo vennero gli ebrei.
La nazificazione le frustrazioni. In quello stesso periodo, ottanta anni fa, si consumò l’estremo, coraggioso tentativo delle Chiese evangeliche di opporsi alla loro nazificazione (i cattolici avevano già pagato, e pagheranno ancora, con anni di prigione e decine di vittime). I protestanti avevano subìto due shock: la sconfitta militare della Germania nel 1918 e la separazione, iscritta nella Costituzione di Weimar, fra Chiesa e Stato. Essendo diventate tutte le Confessioni uguali dinanzi alla legge, veniva a cadere un pilastro, la dignità di religione di Stato, sul quale storicamente si era articolata la supremazia dei riformati, rafforzata dal ruolo assunto, dopo il 1870, dall’imperatore tedesco come loro supremo protettore. Il risentimento per la nuova situazione alimenterà le tendenze più retrive del “Paese protestante”: come dimostreranno i successi colti dai nazionalsocialisti nelle regioni a maggioranza evangelica e la minore presa elettorale per le camicie brune in quelle cattoliche (esclusa la Baviera).
Il consenso a Hitler. Quel sentimento di frustrazione sarà quindi alla base del consenso a Hitler, anche per le specifiche caratteristiche del protestantesimo, meno aperto all’universale rispetto alla Chiesa di Roma e con i suoi quadri dirigenti inclini a un accentuato particolarismo. Ma, d’altro canto, si assiste a un fenomeno nuovo: la trasformazione in senso positivo, il coraggio di un riposizionamento spirituale che trova in una élite evangelica i suoi uomini di punta: fra essi Karl Barth, uno dei protagonisti della storia della spiritualità protestante del secolo scorso, e Dietrich Bonhoeffer, il martire luterano per eccellenza, che si può considerare come un mistico cristiano del Novecento. E questa élite, non a caso, si troverà schierata contro il nazismo nella Chiesa confessante, la “Bekennende Kirche”.
La sfida al regime. Era una minoranza, combattiva quanto si vuole ma disarmata, forte soltanto della propria coscienza morale, che sfidò il regime in due sinodi, a Barmen a fine maggio 1934, in ottobre a Dahlem. Il primo dei due ebbe una risonanza maggiore, anche sul piano internazionale, specialmente perché vi fu stilata la “Dichiarazione di Barmen” che, in una trentina di punti, contestava la pretesa del nazismo di controllare una Chiesa di Stato prona ai suoi voleri e che si adeguasse alle sue concezioni di fondo: la razza, il suolo, il sangue. Il rifiuto era teologicamente motivato contro “la falsa dottrina – dichiarava l’articolo 15 – che ci siano aree della nostra vita in cui non apparterremmo a Gesù Cristo, ma ad altri padroni; aree in cui non avremmo bisogno di giustificazione e santificazione attraverso di Lui”. E respingeva, fra le altre cose, il “paragrafo ariano” (quello cioè che prevedeva l’espulsione dei pastori di ascendenza israelitica) contenuto nella “legge ecclesiastica” emanata sotto la pressione delle autorità naziste. L’ultimo atto di coraggio fu, nel 1936, un memorandum indirizzato personalmente a Hitler come severa requisitoria contro il regime.
Durissima repressione. La reazione sarà violenta e vedrà, negli anni, almeno quattrocento pastori cadere vittime del regime, spegnersi sui patiboli o nei Lager, come Paul Schneider, che ogni giorno proclamava ad alta voce, nel campo di concentramento in cui era stato rinchiuso, “Dio solo è Signore!”. Ma sarà stata, quella degli oppositori religiosi, una testimonianza di grande importanza per il futuro, a partire da quel dialogo sulla giustificazione paolina fra Karl Barth, costretto all’esilio, e il teologo cattolico Romano Guardini (anche lui ridotto al silenzio dalla dittatura). Alla scoperta di certe ultime ragioni cristiane che troveranno in Bonhoeffer un precursore dell’ecumenismo (non a caso uno dei suoi libri, “Sequela” è stato assunto come testo di riflessione da parte dei cattolici), base di un discorso che si svilupperà dopo la caduta del nazismo e a maggior ragione dopo il Concilio.
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