È stato ricordato, con diverse cerimonie, il 28 giugno, l’anniversario dell’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo che portò, di lì a un mese, alla deflagrazione della prima guerra mondiale (28 luglio 1914). In Austria si stanno svolgendo numerose manifestazioni commemorative: mostre sul tema, congressi scientifici, e anche la pastorale militare si dedica a più livelli alla “grande guerra”.Christian Wagnsonner, esperto di etica militare, religione e violenza, presso l’Institut für Religion und Frieden (Istituto per la religione e la pace – Irf) di Vienna, partendo dalla memoria del conflitto riflette sulla pace e sul ruolo dell’Europa nella promozione di relazioni pacifiche tra le nazioni.
Professore, come viene vissuto l’anniversario dello scoppio della prima guerra mondiale in Austria?
“Nella cultura del ricordo di questo Paese, diversamente da altri Stati dell’Europa occidentale, la prima guerra mondiale non ha un ruolo particolarmente importante. Ciò, da un lato, dipende dal fatto che le riflessioni e gli aspetti controversi si concentrano più sul secondo conflitto del Novecento. Dall’altro, l’immagine della monarchia asburgica dominante, nostalgica, talora un po’ kitsch e molto adatta al turismo, stona con la guerra di massa e la brutalità di come la ‘grande guerra’ fu condotta. Inoltre, molti austriaci non sono più in grado di ricostruire la situazione antecedente allo scoppio della guerra: la vita in uno Stato multietnico, annoverato tra le grandi potenze europee, la forte spinta alla modernizzazione nei primi anni del XX secolo, le complesse strutture delle alleanze nonché l’entusiasmo per la guerra che si diffuse in ampie parti della popolazione…”.
Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa unita sulla via per la pace?
“Guardando ad oggi è difficile capire in quale direzione l’Unione europea si evolverà ulteriormente e se anche in futuro saprà dare un contributo importante alla pace. Alcune parti della popolazione non hanno mai approvato completamente la partecipazione a questo progetto. In alcuni Paesi il consenso sta addirittura diminuendo. I motivi sono diversi: paura di perdere le peculiarità di natura culturale, giuridica o politica, oppure la sensazione diffusa di appartenere, a livello individuale o in quanto parte di una nazione, a chi è stato svantaggiato dall’unificazione. In alcuni Stati, ciò ha causato ultimamente una crescita massiccia dei partiti populisti o nazionalisti. Tuttavia, le persone favorevoli a un’Europa comune continuano a essere la maggioranza. Eppure è difficile trovare il modo per avvicinare ulteriormente popoli e Stati. Noi, nel nostro ambito di azione, possiamo promuovere l’incontro e lo scambio reciproco”.
Che rilevanza ha il valore della pace oggi e come educare alla pace le giovani generazioni?
“Il grande valore della pace è stato espresso, e ciò è particolarmente interessante, anche alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale da parte dei responsabili politici di tutti gli Stati che ne furono coinvolti: tuttavia, ciò si tradusse solo con l’accusa agli altri di aver violato la pace o di aver voluto consapevolmente causare una guerra. Molti altri motivi si contrapponevano allora alla pace. Ed è così anche oggi, dopo due conflitti planetari e la fine della ‘guerra fredda’, in molti conflitti tuttora in corso. A mio parere non si tratta di guerre di natura religiosa o culturale: i motivi fondamentali sono l’opposizione alla repressione, l’affermazione di propri interessi, oppure, spesso, semplicemente la sete di potere e ricchezza. Questi conflitti vengono poi riportati in parte entro confini nazionalistici, linguistici, culturali o religiosi, non di rado in Stati deboli o falliti, in cui le autorità non sono in grado di reprimere le tensioni e gli scontri. Questi ultimi vengono seguiti con attenzione dalla comunità internazionale ma è raro che si concludano rapidamente”.
Perché?
“Ciò dipende dalle condizioni politiche e finanziarie in cui versa la comunità internazionale, ma spesso dipende anche dalla complessità della situazione e dei rischi legati a qualsiasi intervento militare. L’educazione alla pace è dunque oggi uno dei compiti più ardui della nostra società, con sforzi spesso consistenti ma effetti ambivalenti. In ogni caso, gli appelli morali da soli non bastano, stancano facilmente o destano fastidio e provocano resistenza proprio nei giovani. Per avere successo nell’educazione alla pace è fondamentale, piuttosto, l’esperienza della dedizione incondizionata e dell’amore, relazioni stabili nella famiglia e nella società e l’essere introdotti al rispetto e alle ampie vedute, che consentano ai giovani di uscire dalle strettoie dei preconcetti e delle ideologie politiche, per essere consapevoli del destino comune, della fragilità e della mortalità umana e riconoscere la fratellanza tra tutti gli uomini”.
0 commenti