Il 15 e il 16 novembre, a Roma, l’Associazione nazionale medici cattolici (Amci) durante la sua assemblea nazionale celebrerà il 70esimo anniversario della fondazione (avvenuta il 5 luglio 1944 per iniziativa di Luigi Gedda). Ecco le riflessioni del presidente dell’Amci, Filippo Boscia, medico ginecologo e docente universitario, con il quale affrontiamo alcuni temi sensibili, peraltro al centro delle cronache.
Ad aprile scorso la Corte Costituzionale ha eliminato dalla Legge 40/2004 il divieto di ricorrere alla Pma (procreazione medicalmente assistita) eterologa; dopo il deposito delle motivazioni, cosa si sente di dire?
“L’Amci ha sentito il dovere d’intervenire più volte, poiché l’iniziale impianto della Legge 40 è stato, passo dopo passo, stravolto fino a una sostanziale deregulation. Un po’ alla volta, nel testo originario inizialmente promulgato, che comunque manteneva la Pma nell’alveo della procreazione umana, tra un uomo e una donna, e sottolineava la centralità dell’embrione, si sono aperti dei varchi che conducono la Legge 40 sempre più lontano da questa prospettiva. La possibilità di rivolgersi a banche di gameti – siano essi donati, venduti, comprati, esportati – rende possibile praticamente ogni forma o combinazione di ricorso ad essi. Ma la nostra preoccupazione più grande è rivolta agli embrioni, la cui vita in queste procedure viene affidata alla discrezionalità ideologica della coppia o della donna che vi ricorre, e talvolta anche dei giudici chiamati a pronunciarsi su casi controversi di applicazione della norma, traducendosi spesso in un’azione violenta e diretta contro la vita stessa dell’embrione, che è soggiogato e condizionato dall’altrui volontà. Ovviamente, per i medici cattolici, questa visione rappresenta un grande disvalore che fa prevedere in prospettiva un danno alla persona del concepito, che con la Pma eterologa vede oscurate le sue origini biologiche, si vede privato del diritto di conoscere chi sono i suoi veri genitori – la prassi normativa tende a proteggere l’anonimato del donatore – smarrendo in qualche modo le sue radici esistenziali”.
Due mesi fa, un decreto della regione Lazio ha disconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei ginecologi nei consultori circa la prescrizione dei contraccettivi, compresi quelli in fase post-coitale e quelli meccanici (tra i quali figura anche la “spirale”) che impediscono l’impianto dell’embrione o ne provocano l’espulsione una volta annidato; cosa ne pensano i medici cattolici italiani?
“A dire il vero, il decreto della regione ha omesso di tenere in considerazione tutta una serie di pronunciamenti di importanti organismi, come il Comitato nazionale per la bioetica, unanimemente in sostegno dei medici che in coscienza non intendono prescrivere o somministrare presidi e farmaci, giudicandoli contrari alla propria impostazione clinica, oltre che etica. Non è quindi solo una questione morale il fatto che un medico rifiuti di agire ‘a comando’ del paziente, ma anche un’esigenza di deontologia professionale. Ad esempio, i preparati di cui stiamo parlando (delle vere e proprie ‘bombe’ ormonali), la cui somministrazione avviene per definizione in condizioni di cosiddetta ‘emergenza’ temporale, richiederebbero in molti casi, esami e approfondimenti delle condizioni cliniche del paziente, per evitare ogni rischio legato alla loro assunzione; ma la situazione di urgenza non permette quasi mai di poter effettuare questi approfondimenti. L’Amci rivendica, quindi, il diritto per i medici di ricorrere all’obiezione di coscienza, con lo scopo di tutelare, secondo il proprio credo valoriale e professionale, la salute del paziente e la propria onestà interiore”.
Qualche giorno fa l’Assemblea capitolina ha istituito per delibera il registro comunale per le Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), il cosiddetto “testamento biologico”, pur in assenza di una normativa nazionale sul tema; il sindaco Marino l’ha definito “un importante passo di civiltà”.
“La problematica delle Dat nasce come risposta alla paura di essere quasi condannati a vivere gli ultimi stadi della propria esistenza in condizioni non ritenute sopportabili o degne della persona umana. Ciascun cittadino, attraverso il cosiddetto ‘testamento biologico’, avrebbe la possibilità di lasciare disposizioni su quali trattamenti accettare e quale rifiutare in una situazione terminale. Ma una procedura del genere presenta molti punti interrogativi da sciogliere per una corretta regolamentazione; non a caso in Italia non si è trovata ancora una formula normativa equilibrata da approvare (di conseguenza, anche l’iniziativa capitolina non ha alcun valore legale reale). Va anche sottolineato come il paziente in fin di vita quasi sempre desidera che si allievino le sue sofferenze fisiche, non che si affretti la sua morte, e questo oggi è possibile con l’avanzamento dell’analgesia e, più in generale, con le cure palliative. L’Amci poi ritiene assolutamente contrario all’etica, alla deontologia medica e al buon senso che un medico rinunci a nutrire e idratare un paziente, finché questi sostegni vitali si dimostrano efficaci e proporzionati nella data condizione clinica”.
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