Il nostro Stato spende ogni anno per ciascun bambino delle scuole dell’infanzia statali 5739,17 euro, mentre per i bimbi delle materne “paritarie” la spesa è di 584 euro, dieci volte di meno! Stesso rapporto per le scuole primarie (le vecchie “elementari”): spesa per le statali a bambino 6634,15 euro, per le “paritarie” 866 euro. Alle medie l’erogazione statale per ragazzo lievita a 6835,85 euro, mentre alle “paritarie” vengono assegnati 106 euro a studente. Alle superiori è ancora peggio: ogni studente delle statali costa 6914,31 euro e alle paritarie vanno solo 51 euro. Perché queste grossissime differenze? La risposta è semplice: lo Stato non riconosce la piena “parità”, compreso cioè l’aspetto economico, anche se da una quindicina di anni riconosce la parità “teorica”, concettuale, tra il servizio formativo svolto dalle scuole statali e quello delle non-statali. E infatti, compulsando i bilanci statali si scopre che le spese aggregate per l’istruzione ammontano a 57,6 miliardi per le scuole statali e solo a 511 milioni per le “paritarie”. Un abisso, oltre che una vera ingiustizia, mentre nella maggioranza dei Paesi europei vige una parità di fatto, e quindi le famiglie possono scegliere liberamente dove mandare i propri figli senza dover pagare “rette”, se non simboliche, qualora scelgano scuole non statali.
La minaccia dell’Imu rimane per scuole onlus e di cooperative. Gli studenti in Italia sono 8,9 milioni, dei quali 1 milione e 72mila alle “paritarie” e 7,8 milioni alle statali. Circa il 12% di famiglie sceglie quindi queste scuole, pur dovendo pagare rette più o meno cospicue, per evidenti motivi legati alla valenza educativa. Del milione di studenti “paritari”, 740mila sono iscritti alle realtà che hanno un’ispirazione cristiana. Non stiamo parlando di cifre piccole: 1 studente su 10 rischiava, con l’Imu, di vedersi aumentare la rette in misura molto forte. E le 9.371 scuole paritarie d’ispirazione cristiana (7mila dell’infanzia, 1.133 elementari, 588 medie, 601 superiori) avrebbero potuto veder schizzare i propri bilanci, con aggravi di decine di migliaia di euro l’anno. Si comprende perché suonava come una minaccia mortale l’arrivo dell’Imu (“Imposta municipale sugli immobili”) anche per le scuole paritarie. Non a caso il presidente della Federazione italiana di attività educative (Fidae) don Francesco Macrì, aveva chiaramente detto che l’introduzione dell’Imu “sarebbe stata come una sentenza di morte delle scuole paritarie”. Ora, per fortuna, il pericolo sembra scampato. È dei giorni scorsi la notizia del varo di un decreto del ministero dell’Economia secondo il quale le scuole paritarie, così come le statali, non dovranno pagare questa imposta, a condizione che il costo medio per studente non superi quanto spende lo Stato stesso. Purtroppo saranno esenti solo le scuole paritarie non profit o gestite da enti ecclesiastici e fondazioni e non, invece, quelle promosse da onlus o cooperative. Per queste ultime occorre il riconoscimento del “servizio pubblico” svolto da parte dei Comuni.
In attesa di ulteriori decreti per le “paritarie”. Al momento si registrano reazioni positive. Ad esempio,Biancamaria Girardi, presidente nazionale della Federazione italiana scuole materne (Fism), dice che “questo provvedimento ci aiuta, in un certo senso è provvidenziale. Le nostre scuole dell’infanzia, come si sa, non navigano nell’oro e molte sono in vera sofferenza, perché è difficile coniugare il contenimento delle rette, il caro vita, i costi per gli insegnanti e, allo stesso tempo, ottemperare alle normative e anche alle metodologie legate all’accoglienza di bambini con bisogni educativi speciali”. “Il grosso delle spese è per il personale – prosegue – e l’ideale sarebbe di poter almeno tornare ad avere i contributi così come erano stati erogati nei primi anni della parità scolastica, dopo il varo della legge 62 del 2000. In quella prima fase i contributi, pur non completi come in altri Paesi europei, riconoscevano l’azione di sussidiarietà svolta dalle nostre scuole. Come Fism, quindi, ci stiamo attivando per chiedere il rispetto di quanto deliberato perché si emanino i decreti a tutela delle scuole paritarie e nel rispetto delle cifre originariamente stanziate”. Soddisfatto anche Fabrizio Azzolini, presidente nazionale dell’Age, l’Associazione italiana genitori. Dice: “Noi siamo soprattutto presenti nella scuola pubblica, ma riteniamo questo un grosso passo in avanti per la vera parità”.
Non devono essere scuole solo per ricchi. Ovviamente, le famiglie che scelgono le scuole cattoliche sono quelle più contente. Lo testimonia il presidente dell’Associazione genitori scuole cattoliche (Agesc),Roberto Gontero: “Tiriamo un sospiro di sollievo, perché Imu e Tasi avevano agitato le famiglie, che scelgono per i loro figli la scuola paritaria. E questa minaccia era molto pesante, perché avrebbe comportato un aumento dei costi per le nostre scuole che già sono in una situazione di bilanci molto precari e sempre in perdita, o raramente in attivo”. Anche lui si augura che si possa giungere presto alla “piena parità”, consentendo “anche alle famiglie meno abbienti d’iscrivere i propri figli alle scuole paritarie”. “Purtroppo – nota – negli ultimi cinque anni abbiamo perso 25mila studenti, cioè 5mila all’anno, e spesso per motivi economici legati alla crisi. Così che la scuola paritaria sta diventando sempre più una scuola per famiglie benestanti: ma questo è inaccettabile in un sistema pubblico di istruzione”.
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