“In ogni caso pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese”. “Ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale […] creandomi ovviamente solo nemici… Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare… Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto… Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa”. Passeranno pochi anni e i “nemici” evocati da Giorgio Ambrosoli – avvocato, fervente cattolico, con giovanili simpatie monarchiche – in questa lettera alla sua “Anna carissima” gli presenteranno il conto, l’11 luglio 1979, sotto forma di quattro colpi di pistola esplosi a bruciapelo da un malavitoso americano, assoldato secondo la trama più scontata di un film d’oltreoceano. Il mandante era il finanziere Michele Sindona, padrone della Banca privata italiana, della quale Ambrosoli era stato nominato Commissario liquidatore.
Quella dell’“eroe borghese” è una delle innumerevoli storie di “servitori dello Stato” che hanno pagato con la vita il senso del dovere (parola-chiave nella biografia di Ambrosoli), l’attaccamento all’Italia, la coerenza ai propri principi. L’elenco è sterminato, così come le vicende sono spesso simili: i “buoni” in prima linea, non di rado lasciati soli dallo stesso Stato a combattere contro malaffare, corruzione, crimine organizzato, mafia, massoneria, terrorismo…
Il sacrificio di Ambrosoli ne ricorda infiniti altri: Falcone, Borsellino, Bachelet, Mattarella, D’Antona, fino a Marco Biagi. Ma sono solo pochi nomi noti di una lista che comprende centinaia di altri martiri meno ricordati – magistrati, poliziotti, politici, professori, operai, giornalisti, imprenditori, sindacalisti – che hanno semplicemente fatto la loro parte, senza clamori, pur sapendo di mettere in pericolo la propria vita e quella dei propri cari.
Ambrosoli presta oggi il suo volto a tutti costoro; personifica la lotta a ogni losca trama ai danni dello Stato e, dunque, contro il popolo italiano; rende chiaro, con la sua vicenda, che la “guerra” al crimine è sempre attuale; dimostra che anche nei momenti peggiori l’Italia trova donne e uomini in grado di battersi per il bene comune, richiamando a ciascuno il senso primo dei pilastri costituzionali, delle regole, dell’impegno, del sacrificio individuale per l’interesse pubblico.
Risuonano così i recenti moniti di Papa Francesco sulla corruzione politica e sulla lotta alle mafie. Mentre il ricordo di Ambrosoli può aiutare l’Italia ad andare avanti nella strada della legalità, della democrazia, di ritrovate virtù civiche.
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