Mosulsxpdi Daniele Rocchi

 “Una ‘N’, lettera iniziale della parola araba Nazarat (cristiano), per indicare le case dei cristiani di Mosul. Quelle vuote sono tutte requisite. Per quelle ancora abitate, ai loro occupanti viene intimato di abbandonarle, oppure di diventare musulmani o di pagare la tassa di protezione, la jizia, prevista dal dhimma (patto di protezione). Anche il vescovado caldeo è stato occupato e sopra ora sventola la loro bandiera” È quanto accade a Mosul e in alcune zone irachene controllate dai miliziani jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), nell’area del neo costituito Califfato Islamico. Un giro di vite contro i cristiani e gli sciiti della zona confermato al Sir da monsignor Shlemon Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad. “Sono notizie che arrivano da Mosul e purtroppo – dice amareggiato – non sono le uniche. Ci risulta anche che i rappresentanti del Califfato islamico hanno ordinato ai funzionari pubblici di sospendere ogni aiuto in cibo e gas ai pochi cristiani rimasti in città, agli sciiti e ai curdi. Ogni infrazione al divieto sarà punito in base alla Sharia”. Notizia quest’ultima rilanciata dal sito Ankawa.com. “Stiamo tornando indietro, la situazione peggiora giorno dopo giorno. Nei villaggi cristiani che hanno accolto gli sfollati in fuga da Mosul e dall’Isil è in atto una emergenza umanitaria – ricorda mons. Warduni al sito Baghdadhope – come Caritas Iraq stiamo cercando di fare il possibile ma siamo a corto di mezzi. Anche i pozzi che abbiamo costruito, in collaborazione con l’Unicef, si stanno rivelando insufficienti. Servono aiuti urgentemente, la stagione è calda e serve acqua e cibo ed ogni aiuto che possa alleviare le sofferenze di tutta la popolazione”.

Il sito Ankawa.com pubblica le foto delle case contrassegnate con la lettera “N” di Nazarat/Nasrani (cristiani). Commentando le foto il sito Baghdadhope spiega: “Sui muri esterni delle case quello che a noi occidentali ricorda uno smile sorridente altro non è che la lettera ‘N’ in arabo, all’interno di un cerchietto al di sotto del quale appare la parola ‘Saakin’, ovvero ‘abitante’. In altre foto, invece, la ‘N’ è posta sotto la scritta ‘aqarat aldaula alislaamiya’ vale a dire ‘bene immobile di proprietà dello stato islamico’”. Secondo il sito e le testimonianze da esso raccolte il “segnare le case riguarda soprattutto il quartiere arabo di Mosul, nella parte nord occidentale della città, e l’azione sarebbe volta ad impedire ai cristiani non solo di abitare nelle proprie case, ma anche di venderle”. Ankawa.com riferisce anche che “questa misura discriminatoria non riguarda solo i cristiani ma anche gli sciiti e gli shabak, la maggior parte dei quali si stima siano anch’essi sciiti. Sulle loro case è apparsa infatti la lettera ‘R’ con la quale inizia la parola ‘Rawaafid’ ovvero ‘rinnegati, disertori, o rafiditi’”, il termine con il quale i sunniti si riferiscono dispregiativamente agli sciiti che non riconoscono la linea di successione che dal Profeta Maometto discese attraverso la nomina a primo califfo di Abu Bakr.
Solo un avvertimento? “Le notizie che abbiamo, apprese da alcune agenzie – dichiara al Sir il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, monsignor Giorgio Lingua – ci dicono che hanno chiesto ai cristiani rimasti a Mosul di andarsene o di convertirsi o di pagare la ‘jizia’. Ma non posso confermare se l’Isil abbia messo in pratica o meno questo avvertimento. Posso confermare, invece, la gravità della situazione umanitaria nei villaggi, molti dei quali abitati da cristiani, che hanno accolto le persone fuggite da Mosul. Stiamo seguendo l’emergenza e in questo momento i problemi principali sono quelli dell’acqua e dell’elettricità. I pozzi che si stanno scavando non sempre danno acqua potabile rendendo la vita sempre più precaria. Questo spinge la gente a uscire dall’Iraq per trovare migliori condizioni di vita. Tra loro ci sono anche cristiani. Il Paese rischia così di perdere tutta la sua componente cristiana”. Positiva, per il nunzio, invece, la nomina a nuovo presidente del Parlamento, carica che appartiene alla componente sunnita, di Salim al-Juburi. Un voto che “interrompe lo stallo politico che si era creato nell’assemblea e che potrebbe essere il primo passo per la formazione di un nuovo governo”. Stando a quanto previsto dalla Costituzione irachena, dopo l’elezione del presidente dell’assemblea, i deputati devono procedere alla designazione di un presidente della Repubblica che a sua volta nominerà un premier.

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