Di Andrea Casavecchia
Ancora una volta suona l’allarme sociale. Anche quest’anno i dati che descrivono la povertà in Italia sono peggiorati rispetto a quelli dell’anno precedente. Nonostante tutto: è cambiato il panorama politico, gli esperti sostengono sia mutato lo scenario economico e il nostro Paese è più forte in Europa.
Risultato: gli scenari non cambiano. Nel 2013 segnala l’Istat, come è stato raccontato dai media nazionali, il 7,9% della famiglie versa in condizioni di povertà “assoluta” (non è in grado di soddisfare alcuni bisogni essenziali), l’anno precedente era il 6,8%, mentre il 12,6% è in condizioni di povertà “relativa” (i consumi sono sotto alla media della spesa di due persone € 972,52 al mese), erano il 12,7% l’anno prima. Quest’ultimo sembrerebbe quasi un miglioramento dunque. Il problema è che l’anno prima la soglia di spesa per i consumi era più alta, circa di € 18. Vuol dire che non solo aumentano i poveri, ma diminuisce la media dei consumi di tutta la popolazione.
Ne traiamo un’ulteriore indicazione: si contraggono le disponibilità economiche della popolazione. Questo è un effetto della crisi che colpisce i cittadini che vivono soprattutto dei propri redditi di lavoro.
Un altro effetto è la concentrazione della ricchezza: lo riscontriamo sempre dai dati Istat: il 20% più povero della popolazione detiene l’8% del reddito totale, mentre il 20% più ricco della popolazione ne detiene il 37,5%. lo squilibrio ci mostra il problema di distribuzione.
Nel complesso la situazione italiana non si distingue da quelle di altre società occidentali. Per approfondire il fenomeno alcuni hanno rovesciato la medaglia e hanno osservato le stime sui flussi delle ricchezze patrimoniali.
Un’economista francese Thomas Piketty, in “Le capital du XXI siécle”, ha dimostrato che nei periodi di stagnazione sono disincentivati gli investimenti, perché la rendita di capitale ha un valore medio del 5%, così quando la crescita economica scende sotto quel livello ai soggetti finanziari che detengono i grandi patrimoni non conviene investire per produrre. La crisi allora colpisce lavoratori e imprenditori.
Nella stagnazione è come se i soldi calamitassero altri soldi e lasciassero le briciole al resto; senza investimenti lo stesso lavoro non è un’assicurazione certa, come un tempo, contro la vulnerabilità economica.
Così la povertà cresce. Come cresceranno le grandi concentrazioni di patrimoni. Per intervenire Piketty propone di introdurre nuove forme di tassazione che riguardino anche i patrimoni e, prima, di censire le diverse attività finanziarie, dato che in molti casi nemmeno si conoscono.
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