Di Brasile Violento
È calato il sipario sui Mondiali di calcio in Brasile ma nel Paese i problemi sono rimasti gli stessi. Una delle questioni più gravi è la violenza e la criminalità. Il Brasile è uno degli Stati più violenti al mondo. Conta ben 16 città tra le 50 più pericolose del pianeta. Qui la vita quotidiana degli abitanti delle grandi città, soprattutto a Salvador da Bahia, Rio de Janeiro, San Paolo, è quasi da reclusi, con sbarre alle finestre, doppie inferriate alle porte, telecamere e vigilantes 24 ore su 24 (per chi se lo può permettere). E in strada, soprattutto nelle ore serali, è meglio girare con pochissimi soldi nel portafoglio, quei pochi da consegnare senza resistenze agli eventuali rapinatori armati, se si ha la sfortuna di incontrarli. Non a caso tutto si paga con carte di credito e di debito, anche minime cifre. Perfino i venditori ambulanti sulle spiagge hanno il Pos. Il Brasile detiene anche un record infausto: ha il più alto numero di omicidi giovanili. I bambini ricevono minacce dalle gang del narcotraffico, ma anche dai poliziotti. È infatti l’unico Paese con una legge apposita, uno Statuto dei minori e un Programma nazionale di protezione per minori minacciati di morte. Bahia è lo Stato con più minori uccisi: 777 nel 2011 su 471mila giovani. Salvador da Bahia, con i suoi 5 milioni di abitanti di cui il 95% neri, poveri e discriminati, è la 13ª città più violenta del mondo con 57,51 omicidi ogni 100mila abitanti. Il governo ha avviato programmi di protezione dei minori in 28 Stati brasiliani, affidandone la gestione ad alcune organizzazioni sociali. A Salvador da Bahia ha incaricato una delle ong più note e importanti, l’Ibcm (Instituiçao Beneficente Conceiçao Macedo), con 80 dipendenti e numerosi progetti. È specializzata, tra l’altro, nell’assistenza ai bambini con familiari malati di Aids o coinvolti nella malavita.
Ogni anno l’Ibcm protegge circa 30/35 “vite” di ragazzi e familiari. In tre anni ha visto passare 102 minori, 186 vite. Attualmente vi sono 9 ragazzi e ragazze inclusi nel programma di protezione, e 17 vite. “L’ideale è proteggere l’intera famiglia – spiega il coordinatore padre Alfredo Dorea -. Si cerca una casa in affitto e si mette in contatto il minore con la rete di protezione, che li segue per uno o due anni”. I bambini arrivano tramite alcune “porte d’entrata”: il pubblico ministero, il giudice dei minorenni o il Consiglio tutelare dei minori. L’equipe Ibcm (17 educatori, tra cui una psicologa) intervista il minore. Entro 15 giorni si decide se ci sono gli estremi per includerlo o meno nel progetto, che garantisce vitto e alloggio, scuola e assistenza sanitaria in un luogo segreto, lontano da casa. “Il timing dopo la prima intervista è importantissimo: se non facciamo in fretta rischiamo che qualcuno lo uccida”, precisa p. Alfredo. Deve comunque trattarsi di una minaccia concreta e imminente: “Accettiamo solo un quarto delle richieste. Molti fingono per farsi mantenere”. Quando i ragazzi arrivano si controlla se hanno armi. È proibito l’uso di telefonini e internet. Non possono uscire quando vogliono. E p. Alfredo interviene con il solito ritornello: “La tua vita è più importante di tutto il resto”. L’équipe deve seguirli costantemente per garantirne la sicurezza. Le scuole e le strutture pubbliche non sono posti ideali, perché frequentati da altri ragazzi coinvolti nel narcotraffico che potrebbero identificarli e fare la spia. “Se sappiamo che sono sulle loro tracce li spostiamo”. Alcuni fanno fatica ad accettare queste regole rigide. “Fuggono per fumare, per bere – aggiunge Riccardo Mulas, trentenne sardo che lavora all’Ibcm -. Usano internet o i telefonini. Chi trasgredisce viene rimproverato. Se sgarra di nuovo, viene dimesso”.
La maggior parte delle storie sono drammatiche. Davanti all’équipe dell’Ibcm sfilano casi orribili: bambine di 9/10 anni vittime di violenza sessuale o trafficate. Un bambino di 10 anni utilizzato dalla criminalità per testare le armi. N., 14 anni, abusata dal padre e incinta. Il genitore è stato ucciso, lei è finita nelle mani dei trafficanti che l’hanno sfruttata sessualmente. “È ancora nel programma, studia ed è brava in matematica ma non ha famiglia. Quando uscirà che ne sarà di lei?”, si chiede con preoccupazione p. Alfredo. “Davanti a un caso difficile – confida – ho bisogno di raccogliermi in preghiera e dire: so che non sono Dio, non posso risolvere tutti i problemi. Cosa posso fare per questo ragazzo?” Di solito, prosegue, “cerchiamo di capire quali sono le prime necessità: coccole e accoglienza del cuore. Vengono da noi sotto choc, spaventati per il cambiamento di vita radicale. Non è importante quanto mangiano, è importante farli sentire accolti”.
Jorge, padre-bambino in fuga dal narcotraffico. Jorge, 17 anni, siede a testa china sulla panca della cappella. Tortura con le dita la chiave dell’armadietto, agganciata ad una cordicella appesa al collo. È stato minacciato di morte dai narcotrafficanti per non aver pagato un debito. Spacciava crack, cocaina e marijuana. Per arrivare, in gran segreto, nella comunità terapeutica dove è accolto, bisogna passare favela dopo favela, e fare un giro assurdo per evitare l’alto muro che i benestanti della zona hanno costruito per evitare le incursioni di poveri e violenti. La sua storia si ricostruisce solo con domande incalzanti, brevi risposte e cenni di assenso o diniego. Non vuole parlare perché è doloroso ricordare. È già padre di un bambino di un anno. Ha fatto appena in tempo a veder nascere suo figlio. Poi è dovuto fuggire. Ora si sta disintossicando e si dice pentito per aver frequentato quelle “cattive amicizie”. Ama la musica, sta imparando a suonare la batteria. Quando uscirà dal programma spera di poter lavorare come agricoltore e vivere con la ragazza e il figlio. Cosa gli manca di più? “Mio figlio e la libertà. Quando esco gli regalo il mio skate”.
Denise, una vita in rinascita. Top giallo e shorts d’ordinanza come tutte le teenagers brasiliane. Denise, 14 anni, è bella e illumina l’ambiente con la sua vitalità e gli occhi brillanti, regalando risate gioiose. Per lei è l’inizio di una nuova vita, migliore. È entrata nel programma di protezione un anno fa perché era una testimone scomoda. Poteva riconoscere l’assassino di un vicino di casa. Brutti giri legati al narcotraffico. Per 7 mesi è stata accolta in una casa per ragazze in difficoltà gestita da suore. Poi l’Ibcm ha fatto in modo di riunire la famiglia, anche se la madre soffre di disturbi mentali e il papà è alcolista. Sta seguendo un corso di informatica, le piace studiare e sogna di fare la biologa. Mentre parla, i genitori entrano ed escono dalla stanza. Sembrano confusi e storditi. Volti e corpi invecchiati precocemente da una vita difficile. “Ho visto molte cose brutte nella mia vita – racconta -. Seguivo amicizie sbagliate. Non ho mai preso droghe ma i miei amici sì. Cercavano di conquistarmi piano piano”. Così si è trovata nel bel mezzo di una guerra tra bande. Un giorno infausto un trafficante ha bussato alla porta di casa della nonna, dicendo che andava ad uccidere un vicino. Denise era lì, ha visto in faccia il futuro assassino. Alcuni uomini in moto l’hanno avvisata del pericolo, invitandola a fuggire. “Ho avuto molta paura – dice -. Quando sono entrata nel programma ho pianto tanto. Un operatore mi ha tirato su di morale. Pensavo: se la mia vita sta cambiando così tanto è perché devo cambiare qualcosa nella mia vita. Ora sto meglio, perché posso uscire, stare con i miei genitori, andare a scuola. Non ho più paura”. Oggi mostra con orgoglio un libro appena letto. Le è piaciuto molto. Si intitola “Poderosa”. “È la storia di una ragazza: quando scrive con la mano sinistra riesce a trasformare tutti i suoi sogni in realtà”. Proprio come te? “Proprio come me”.
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