È la madre di tutte le battaglie. Sembra che riguardi solo Internet, ma rischia di travolgere i principi fondamentali della cultura contemporanea. La Germania ha chiesto a Google di rendere pubblica la formula (l’algoritmo) che fa funzionare il motore di ricerca. Un’informazione che vale miliardi di dollari e che i due fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page, custodiscono in una cassaforte a prova di bomba. A stretto giro, infatti, tramite il loro ufficio legale hanno rigettato la richiesta del governo tedesco. Nel frattempo però l’Unione europea ha avviato la procedura d’urgenza per contestare a Google una forma di concorrenza sleale. Con i risultati delle ricerche favorirebbe le pagine di YouTube (che da alcuni anni è di proprietà della stessa Google) a scapito di altri fornitori di informazioni o di video.
Dietro a questa intricata vicenda di diritto internazionale, si agita lo spettro di un problema che non è solo normativo (concorrenza, fisco, privacy) ma che è anche politico e che riguarda il futuro delle relazioni fra gli Stati. Da una parte, ci sono i cosiddetti “Over the top” (gli “Ott” come vengono chiamati dagli addetti ai lavori) e cioè le aziende come Google o Facebook che operano “sopra gli altri”. Dall’altra parte delle barricate (che stanno crescendo giorno dopo giorno un po’ ovunque) ci sono i governi nazionali che soffrono per la progressiva perdita di controllo sui flussi dei “big data” e, in molte situazioni, anche per il meccanismo di elusione fiscale messo in atto, sotto gli occhi di tutti, da parte degli “Ott”.
In una intervista al “Financial Times”, il ministro della Giustizia del governo Merkel ha detto, fra le altre cose: “È noto da tempo che il mondo digitale non riconosce più le frontiere nazionali. Ma quando le aziende digitali offrono i loro servizi e prodotti a cittadini della Ue è giusto che aderiscano alle leggi europee, incluse quelle sulla protezione dei dati personali, a prescindere di dove sia la loro sede centrale”. Google ha letteralmente travolto gli altri motori di ricerca. Mentre negli Usa la sua quota di mercato è ferma al 68%, in Europa il suo posizionamento supera il 95%. Un dato tanto più impressionante se si considera che i risultati delle ricerche su Google ormai hanno un’influenza diretta sugli acquisti online di beni di consumo, sulle scelte per il tempo libero e per il turismo o anche per la formazione di opinioni politiche e, infine, come “carta di identità” ad un colloquio di lavoro.
Come sanno bene gli esperti del nuovo marketing digitale, sul web si leggono solo i primi risultati di una ricerca su Google. Le pagine successive non vengono mai guardate da nessuno. Inoltre, lo abbiamo scoperto con la vicenda di Assange, Google “legge” le nostre mail. Ci basta citare una parola chiave in un messaggio privato mandato ad un amico per essere immediatamente bersagliati da una pubblicità mirata e selezionata. Si tratta di un potere immenso che Google gestisce in modo discrezionale e, forse, arbitrario. La richiesta della Merkel quindi non può essere derubricata ad una banale questione di territorialità. Gli algoritmi chiesti a Google sono un segreto industriale che dovrebbe essere sempre protetto in un’economia liberale e che, se rivelato pubblicamente, potrebbe addirittura far fallire il gigante costruito da Larry Page e Sergey Brin. D’altra parte, la mancanza di trasparenza su come e che cosa venga letto da questo gigantesco motore di ricerca, sta cominciando a generare più di un motivo di preoccupazione nei governi nazionali. Non solo in Europa.
L’elusione fiscale, in un contesto del genere, diventa solo un particolare, non meno importante degli altri, ma non il principale. Per questi motivi il contenzioso ingaggiato dalla Merkel e dalla Ue contro Google rischia di diventare la madre di tutte le battaglie. La domanda alla quale infine si dovrà cercare una risposta ci riguarda tutti. Può un’azienda guidata da due persone porsi al di sopra della legge di un Paese sovrano? In altre parole, un’azienda privata può diventare più potente dei governi nazionali legittimamente eletti? L’addetto ai lavori che, prima di altri, ha ribattezzato questi giganti della rete “Over The Top”, forse pensava ad altro (si tratta di un’espressione inglese che significa anche “il meglio di”, “eccezionale”, “straordinario”) ma, in un qualche modo paradossale, ha previsto senza volere un futuro apocalittico dove saranno poche industrie sovranazionali a comandare su tutto il mondo, come nei romanzi di fantascienza dello scrittore canadese William Gibson. “Over The Top” in altre traduzioni significa anche “esagerato”, “sproporzionato”, “fuori luogo”.
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