Di Marco Doldi
“È necessario tornare a pensare e a pensare insieme: bisogna traguardare la dittatura del pensiero unico”. Parole centrali della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Pensare in questo importante momento significa “reagire alla cultura delle frasi emotive, delle frasi ad effetto, della ricerca di consenso, dell’intimidazione”. Sì, perché le questioni serie non si affrontano con battute o slogan, ma con la fatica del pensare.
A chi compete questa missione? Sarebbe sbagliato ritenere che questo sia il compito solo di alcuni, ad esempio dei pastori della Chiesa. Certo, essi devono insegnare per mandato di Cristo, ma non possono essere gli unici a riflettere e a parlare. Piuttosto occorre che l’intera comunità cristiana si senta coinvolta nella fatica di pensare. Avviene questo? Sono le nostre comunità, dalle più piccole alle più grandi, luogo di pensiero? Si ritiene questo sforzo importante come l’impegno per la catechesi, per la celebrazione dei sacramenti e per la carità? Forse è giunto il momento di porsi queste domande, a motivo del fatto che tutti respirano i miasmi del pensiero unico, il quale decide da solo “che cosa esiste e che cosa no, di che cosa si può parlare e di che cosa è proibito”.
La comunità cristiana, a qualunque livello, è luogo privilegiato dove far nascere un nuovo pensiero, un nuovo umanesimo, che trova in Cristo il suo riferimento vitale. Sono infatti vere le parole conciliari: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41). Le comunità parrocchiali, poi, hanno una situazione privilegiata: da una parte trasmettono la pienezza dell’annuncio, della vita di grazia e della testimonianza; da un’altra sono profondamente inserite nel territorio. Soprattutto, grazie ad esse la Chiesa ha una presenza capillare nel territorio nazionale. Questa situazione le pone in una posizione privilegiata, in quanto non solo trasmettono, ma anche ricevono. Sono mandate al popolo con il dono del vangelo di grazia e dal popolo sono arricchite.
Il popolo, infatti, non è un mero e anonimo recipiente, ma ha una sua sapienza ed è compendio di ciò che l’uomo è. Come il popolo cristiano è depositario di quel “sensus fidei”, che tante volte nella storia ha permesso che nella comunione con i pastori la fede autentica non andasse perduta, così è in grado di esprimere quel comune “buon senso”, che aiuta a riconoscere le esigenze più profonde e diffuse dell’uomo. Il pensiero unico, invece, è condotto da alcuni, la cui voce sembra universale per le forze dispiegate e l’amplificazione che viene data.
Ascoltare il popolo significa dar valore alla coscienza. Essa è “il punto di forza di ogni uomo e di ogni popolo e svuotare la coscienza – come si sta facendo – è un crimine incalcolabile contro l’umanità”. Togliere la coscienza impedisce la lucidità di analisi e rende deboli di fronte al potere unico, che tutto livella e finisce per esercitare un’egemonia insostenibile.
Sono urgenti comunità cristiane dove insieme si esercita la fatica del pensare e del discernere; in questo impegno il Vangelo esercita un ruolo centrale, come sempre. Occorre rendere le comunità cristiane protagoniste, capaci di cogliere i tanti valori e desideri presenti nel popolo e porli all’attenzione di tutti. Questa riflessione diviene così complementare allo stesso annuncio cristiano. Riguardo, ad esempio, ai temi del matrimonio e della famiglia, si pensi a come sia importante far emergere dalle persone il desiderio naturale di famiglia e di amore fedele e duraturo; far emergere i tanti vissuti familiari ricchi e significativi ei valori acquisiti nel tempo. Questi elementi completano e presuppongono l’insegnamento cristiano.
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