In un “contrasto di colori”, tra nero e rosa, continuano i miti e gli stereotipi sul controverso ruolo di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Da una parte la “leggenda nera” del Papa nazista o favorevole ai nazisti, una leggenda nata negli anni Sessanta ma ancora più viva che mai, vessillo ideologico di chi giudica totalmente inadeguato e insufficiente l’operato del Papa di fronte al dramma della Shoah, in particolare durante i nove mesi dell’occupazione di Roma (8 settembre 1943 – 4 giugno 1944), anche se a smentire questa tesi, documenti alla mano, è stato addirittura un rabbino e storico statunitense, David Gil Dalin, con un suo saggio del 2005. Come ha rilevato in questi giorni lo storico Anna Foa, “si ha l’impressione che anche i lavori più rigorosi di molti storici, e non solo cattolici, che hanno dato spiegazioni ponderate della questione dei ‘silenzi’ di Pio XII, termine com’è noto già usato dallo stesso Pontefice, non siano recepite dal pubblico e non influiscano sul comune senso storiografico”. Dall’altra parte, in opposizione, la “leggenda rosa” del Papa “Pastor angelicus” e “defensor civitatis”, interpretazione benevola di chi al contrario difende a spada tratta, spesso con toni marcatamente apologetici, ogni scelta operativa e i pronunciamenti di Papa Pacelli durante quel frangente storico così difficile e complesso.
Ma si sa, affidarsi a leggende e miti, i cui sostenitori sembrano mossi più da passione viscerale che da elementi oggettivi, non conduce alla verità della storia; quando essi sono contrapposti, poi, si finisce solo con lo scatenare aspre polemiche e faziosità. Perciò la ricerca storica autentica, quella che avanza nell’interpretazione degli accadimenti con rigoroso metodo scientifico, rifugge da questo panorama di “colori contrastanti” per rimanere saldamente ancorata allo studio dei documenti disponibili e delle testimonianze raccolte. E le fonti non sono mai abbastanza quando si tratta di affrontare l’analisi storica di personalità complesse come quella di Pio XII, figura che, per dirla con Giovanni Spadolini, non si presta certo all’opera dei “terribles simplificateurs”. Si tratta infatti di uscire dalla caricatura del “Papa di Hitler”, di passare dal mito alla storia. Perciò gli studiosi continuano a ricercare e analizzare ogni elemento storico utile a gettare luce su quegli avvenimenti, attingendo avidamente dai vari archivi i documenti pertinenti ad oggi disponibili, mentre tanti altri restano ancora celati in attesa che cessino i vincoli temporali della loro apertura. Come faceva notare lo storico Andrea Riccardi durante il convegno su “Pio XII e la seconda guerra mondiale: eventi, ipotesi e novità dagli archivi”, tenuto il 2 ottobre a Roma all’Università “Guglielmo Marconi”, i tempi della storia sono certamente più rapidi dei tempi degli archivi, costantemente in ritardo; infatti, accade spesso che la storia si consolidi con l’apporto di documenti di seconda mano o secondari, senza attendere la disponibilità delle fonti primarie ancora secretate negli archivi.
Si può ben comprendere, quindi, quanta attesa anima gli studiosi per l’apertura della sezione documentale degli archivi vaticani relativa al pontificato di Pio XII, che avverrà (in forma parziale o completa) presumibilmente nel 2015. In base al parere di molti storici contemporanei, dalla lettura delle nuove carte non ci sarebbe da aspettarsi sensazionali colpi di scena, ma con ogni probabilità nuovi elementi di comprensione del funzionamento della “macchina papale” dell’epoca, dei meccanismi con cui si arrivava alle decisioni, della dinamica informativa verso il Papa e dal Papa verso i suoi collaboratori. Secondo lo storico Matteo Luigi Napolitano, invece, tra le novità ipotizzabili dei nuovi documenti vaticani potrebbero figurare tre circostanze rilevanti. Innanzitutto l’evidenza di legami tra Pio XII e le agenzie di soccorso ebraiche internazionali, ben più forti di quanto fino ad oggi ipotizzato e basati sulla mutua fiducia. Ancora, l’emergere di priorità divergenti tra Vaticano e Paesi Alleati; mentre questi miravano innanzitutto alla sconfitta della Germania, per Papa Pacelli era prioritario salvare vite umane, concentrandosi sugli ebrei e sulle vittime della guerra. Una terza novità, infine, potrebbe essere la dimostrazione della ripresa di un dialogo tra Vaticano e Unione Sovietica, forse già sul finire della guerra. L’esame del nuovo materiale documentale, dunque, confermerà o smentirà tutte queste ipotesi o, forse, fornirà ulteriori chiavi interpretative. In ogni caso, lasciamo con pazienza che sia la seria ricerca storica, e non altri approcci ideologici, a gettare maggiore luce sull’opera di Pio XII, il “Papa del silenzio”, ma un silenzio operoso nella carità.
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