Tra i tanti problemi che gli italiani devono affrontare oggi c’è anche quello della salute. Sì, perché il bel tempo antico in cui c’era il “dottore” cui ci si poteva rivolgere tranquillamente, nel suo studio vicino a casa, e che se le cose erano leggere ti prescriveva medicine passate dal Servizio sanitario nazionale; se invece erano “serie” allora ti faceva ricoverare all’ospedale, ebbene questo tempo sembra definitivamente tramontato. Oggi, nella rivoluzione che sembra stia colpendo inesorabilmente tutti i settori della società, anche la sanità è messa in discussione e appare a rischio di poter continuare a mantenere un servizio universale. Lo spiega il Censis (Centro studi investimenti sociali) nel rapporto presentato ieri (27 ottobre) a Roma col titolo “Informati ed insoddisfatti: verso una sanità minimale?”, curato nell’ambito del Forum per la ricerca biomedica. Anzitutto diamo uno sguardo ai dati generali emersi dalla ricerca. Gli italiani si dicono mediamente “informati” (70%), ma per il 55% temono la confusione per “troppa informazione”. Il 49% (in pratica la metà) giudica inadeguati i servizi sanitari della propria Regione, con una percentuale che sale al 72% al Sud. Qual è la “colpa” più grave del sistema sanitario? Le liste d’attesa, che stroncano le speranze dei più, costretti a ricorrere, in casi davvero seri, alle visite e cure private. Per questo aspetto ben il 64% si dice gravemente insoddisfatto. Per non parlare del ticket, variamente presente e modulato nelle Regioni: per il 45% degli italiani, si tratta di una tassa iniqua e per il 35% i farmaci garantiti dal Ssn sono insufficienti. Insomma, un pianto diffuso un po’ in tutto lo stivale. Vediamo allora più analiticamente cosa è emerso da questa ricerca.
Inesorabile il peggioramento del servizio pubblico? Il dato più eclatante è che le persone riscontrano un peggioramento del Servizio sanitario nazionale. La qualità dell’assistenza è percepita in contrazione, crescono i “viaggi della speranza”, specie da Sud a Nord in cerca di ospedali, medici e tecniche di cura di eccellenza che soltanto in poche Regioni italiane sono disponibili. Le punte di maggiore soddisfazione sono al Nord-Est col 27,5% di pareri negativi; quelle al contrario più critiche sono al Sud dove il 72% formula giudizi tutt’altro che lusinghieri sul sistema di cura pubblico. Per non parlare dei “tagli” variamente imposti alla sanità nel corso degli ultimi anni: molto negativo è il giudizio sulla chiusura dei piccoli ospedali: il 67% dei cittadini si dichiara contrario, perché li ritiene un presidio importante. Si diceva più sopra del ricorso al “fai da te” (auto-cura o ricorso al “privato”): nell’ultimo anno il 53% degli italiani, per via della crisi, si è rassegnato a tempi di attesa più lunghi per effettuare analisi, visite e cure mediche. Ovviamente, chi ha i soldi cerca soluzioni più rapide. Così hanno fatto circa due terzi degli italiani che hanno pagato di tasca propria, in particolare il ticket sui farmaci (66%), le visite specialistiche (45,5%), o il dentista (45,5%).
Medicine a pagamento, web, diete. Curiosi i capitoli della ricerca del Censis che riguardano la prevenzione e l’uso del web. Per la paura diffusa dei tumori (63%), della non autosufficienza (31%), di malattie cardiovascolari (28%) e neurologiche (26%), si cerca di mantenersi sani con diete (44%), controlli medici periodici (43%) e ampio ricorso alle informazioni in Rete (42%). Anche se il medico di base rimane la fonte di informazione più consultata dagli italiani (73%), il 48% legge giornali, riviste e va su Internet; il 35% compra integratori, il 25% farmaci auto-prescritti. Se le malattie sono gravi, il 90% “ubbidisce” alle prescrizioni mediche; se non lo sono, solo il 57% segue i consigli degli specialisti. È piuttosto generalizzato il grado di fiducia nei farmaci, specie se usati per malattie croniche. Ma c’è il problema del ticket già citato e poi quello della non totale copertura pubblica, che rendono a volte obbligato l’acquisto a pagamento delle medicine, perché non “passate” dal servizio sanitario pubblico. Mentre la farmaceutica fa continui progressi, come mostra il caso di Ebola e dell’epatite C (per cui è stata elaborata una cura costosissima), è probabile che in un prossimo futuro il governo sia costretto a “stringere” ulteriormente sulle coperture generali fornite alla popolazione. Si profila quindi una crescita del ruolo delle assicurazioni sanitarie integrative private, che però non sono – al momento – alla portata di tutti i cittadini.
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