“Mio fratello non era tornato a casa e il telefono squillava a vuoto. Degli sconosciuti hanno chiamato mia madre per chiedere di pagare un riscatto. Una quindicina di giorni dopo dei vicini hanno avvisato mia mamma e le mie sorelle che c’era una fossa comune vicino ad Afrin e che sarebbe stato meglio andare a controllare. Mio fratello era lì, in mezzo agli altri corpi, con il foro di un proiettile in mezzo alla testa”. Irem, preferisce un nome di fantasia per timore di ripercussioni per la sua famiglia, è curda e vive in Italia da anni. Lo scorso inverno suo fratello è stato sequestrato e giustiziato mentre si recava ad Aleppo.
Storie di ordinaria paura. Irem è originaria di Aleppo, considerata la “capitale” del nord della Siria, una delle città su cui con più violenza si è abbattuta la guerra civile a partire dal 2011. Nella più grande città siriana abita uno dei suoi fratelli, la madre e alcune sorelle si sono trasferite a nord-ovest nella vicina Afrin, cittadina di circa 35mila abitanti, centro di una delle tre enclave curde che costituiscono la regione di Rojava, il distretto curdo semi-autonomo nel nord della Siria di cui fa parte anche Kobani, assediata dai miliziani dello Stato Islamico (Is). Ad Afrin viveva anche il fratello Shauket, docente universitario in pensione. “Mio fratello – racconta – voleva fare visita ad Aleppo, dove insegnava e viveva prima della guerra, aveva dovuto abbandonare casa sua dopo che era stata bombardata e saccheggiata, vedersi depredato di anni di sacrifici lo aveva amareggiato. I terroristi chiamavano per chiedere il pagamento del riscatto e mia madre stava raccogliendo i soldi, poi siamo stati avvisati della fossa comune. La sera stessa ci fu un servizio al telegiornale in cui si vedevano i cadaveri: le mie nipoti non sapevano di star guardando loro padre assassinato”. Un omicidio consumato a breve distanza dal rapimento, con gli aguzzini a cercare di ottenere il riscatto nonostante non ci fosse più un ostaggio da scambiare. “Il corpo – spiega Irem – è stato trovato pochi giorni prima dell’incontro con i sequestratori. Eppure Shauket è stato ucciso quasi subito, perché prima di partire aveva fatto la barba e quando lo hanno ritrovato non era ancora ricresciuta. Siamo desolati, mio fratello era buono e non aveva mai avuto a che fare con la politica”. Difficile capire chi possa essere stato a sequestrare e assassinare l’uomo. “Non lo sappiamo. Alcuni hanno incolpato Daesh – nome arabo dell’Is – ma non abbiamo prove. Loro accusano i curdi di essere peccatori, ma nella nostra zona abbiamo sempre vissuto in pace e la religione è solo una scusa politica, l’islam non c’entra, questi sono terroristi, nemici dell’islam. Un virus pericoloso che l’Occidente dovrebbe aiutarci a sconfiggere”.
Vicini e lontani. Shauket è scomparso lungo un tragitto di poco più di 65 chilometri, una distanza che un tempo poteva essere coperta in due ore e che ora richiede “anche dieci ore di viaggio, ci sono posti di blocco sia del governo sia dei ribelli”. “E’ difficile muoversi – continua Irem – ho un altro fratello ad Aleppo, malato di tumore, che non riesce a raggiungere Afrin perché il viaggio è troppo impegnativo e perché ha paura di essere ucciso. Lui sostiene il regime del presidente Assad – e pensa che se viaggiasse i ribelli lo ucciderebbero, secondo me i curdi non dovrebbero sostenere né lui né i ribelli. Non ha potuto partecipare nemmeno al funerale e come lui le altre mie sorelle che vivono lì”. Questo nonostante la zona di Afrin sia stata risparmiata dai combattimenti e punto di arrivo di numerosi curdi in fuga dalla Siria in fiamme. “Afrin – spiega Irem – non ha problemi, ci sono cibo, acqua ed elettricità. Anzi la situazione è migliorata dopo l’inizio dei combattimenti, perché tanti si sono trasferiti e hanno aperto tanti negozi, portando vitalità. Non è come a Kobani”. Eppure la paura arriva anche lì: “Non sono mai tranquilli, un mio nipote è andato a Dubai per timore che i ribelli lo costringessero ad arruolarsi. Come fai a vivere se intorno a te continuano a morire? Io non vedo mia mamma da 4 anni, avrei voluto raggiungerla nei mesi scorsi, ma i miei figli non hanno voluto. Saremmo dovuti entrare dal confine turco e avevano paura che non riuscissi a passarlo di nuovo per tornare indietro”. Irem sogna di rivedere la pace nella sua terra e di riabbracciare la sua famiglia. “Non riesco a immaginare il domani. Viviamo giorno per giorno, la morte di mio fratello ha fatto crollare tutte le aspettative come un castello di carte. Nonostante tutto però la vita deve andare avanti, anche se la morte di un fratello ti spezza bisogna trovare la forza di sperare”.
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